È un percorso di luci e ombre quello che l’Italia ha intrapreso, fin dagli anni 70, nell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Tra i primi in Europa ad abolire le classi differenziali (scegliendo come mantra della propria pedagogia l’inclusione come arricchimento), oggi il Paese è tra quelli con i tassi più alti di partecipazione degli studenti con bes (cioè bisogni educativi speciali) alle scuole tradizionali. Siamo al 99,97%, al pari di Svizzera e Danimarca, secondo lo European Agency for Special Needs and Inclusive Education, organizzazione indipendente che funge da nucleo di collaborazione per i suoi 31 paesi membri nel campo dei bisogni educativi speciali e dell’istruzione inclusiva. D’altra parte restano però i nodi del numero di assistenti, della grande diffusione di barriere architettoniche e lo spettro della dispersione scolastica. Tanto che solo l’11% di persone con disabilità in Italia arriva ad avere un titolo d’istruzione terziaria, contro una media europea del il 29,4%.
Il diritto dei minori con disabilità di accedere all’istruzione alle stesse condizioni di tutti getta le sue radici nella Costituzione. Altre leggi negli anni hanno rafforzato questo principio. Fondamentale il ruolo della Corte Costituzionale che oltre 30 anni fa «sancì il diritto alla socializzazione del bambino e dell’adulto con disabilità facendo sì che oggi il contenuto del diritto all’istruzione si componga di diversi elementi, tra cui il diritto al trasporto scolastico e quello all’insegnante di sostegno», spiega Elena Vivaldi dalle pagine del sole24ore, docente di Diritto Costituzionale della Scuola Superiore Sant’Anna
Un primo ostacolo alla piena inclusione è rappresentato però dalle barriere architettoniche che «sono ancora davvero troppo numerose nelle scuole italiane ma rappresentano una precondizione per garantire il diritto allo studio», puntualizza l’esperta per l’Italia del network European Disability Expertise, finanziato dalla Commissione Europea. Solamente una scuola su tre risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria, con forti variazioni regionali. Mentre, con riferimento alla disabilità sensoriale, solo il 16% delle scuole dispone di segnalazioni visive per studenti con sordità o ipoacusia, e le mappe a rilievo e i percorsi tattili necessari a rendere gli spazi accessibili agli alunni con cecità o ipovisione, sono presenti solo nell’1,5% degli istituti.
Da migliorare inoltre «la formazione specifica per gli insegnanti di sostegno, la loro rapida individuazione e la stabilità del loro incarico», aggiunge la professoressa, chiarendo: «c’è un’alta quota di insegnanti senza formazione specifica e una significativa quota di insegnanti di sostegno assegnati in ritardo».
Alle disposizione di legge, si affiancano gli stanziamenti di risorse, tra cui 100 milioni di euro a favore dei Comuni previsti dal Fondo per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità, stanziati dal Decreto del 24 agosto 2023. O i 231 mln capitolati nell’ultima legge di Bilancio per il Fondo per la disabilità e la non autosufficienza, finalizzati a iniziative per il potenziamento dei servizi di assistenza per gli alunni con disabilità.
Un’altra sfida è rappresentata dall’abbandono scolastico, fenomeno che nell’Ue è molto più accentuato per le persone con disabilità (31,5% contro il 12,3% delle persone non disabili) fino ad arrivare all’università dove, constata Vivaldi «il percorso è senz’altro più difficile e meno strutturato, in termini di strumenti e servizi». Un ruolo fondamentale lo rivestono però la figura del delegato del rettore, che si occupa del coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative necessarie all’integrazione di studenti con disabilità e la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità, chiamata a «condividere linee di indirizzo e interloquire con gli altri attori istituzionali per dare voce alle esigenze degli studenti».