Tornare alla Res publica nelle moderne comunità (L’Editoriale)

La locuzione res publica è formata dal sostantivo latino res (genericamente, “cosa”), che assume sfumature semantiche differenti a seconda dell’aggettivo con cui è costruito: in questo caso, significa letteralmente “cosa pubblica”, ma può talvolta significare “Stato” o “attività politica”, e designa l’insieme dei possedimenti, dei diritti e degli interessi del popolo.

È utile partire, per comprendere il concetto di res publica, dalla definizione proposta da uno dei più grandi pensatori dell’età repubblicana, Marco Tullio Cicerone, nel suo trattato politico de re publica (I, 25, 39): «La res publica associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse».

Cicerone esprime il rapporto fra res publica e populus in senso patrimoniale: la prima è possesso del popolo, che ne esercita la sua titolarità come un pater familias esercita la propria sulla sua domus.

Tuttavia la costituzione romana può essere esempio per la teoria moderna della Stato non solamente in quanto creatrice del mito: la res publica poté assumere valore paradigmatico nell’antichità classica cioè quella greco-romana, come nel periodo rinascimentale e nell’età moderna, proprio grazie al ragionamento eclettico di Cicerone sulla filosofia, l’etica e la politica (“scienza politica”).

Senza dubbio la teoria ciceroniana incorpora parecchi elementi già presenti nelle opere di Platone e di Aristotele. La differenza piú importante fra le teorie platoniche e aristoteliche e le idee di Cicerone sullo Stato e sulla società sta nel fatto che questi presumono l’uguaglianza fondamentale di ogni uomo. Ogni uomo per natura ha la capacità di riconoscere il giusto (iustum) e di operare secondo questa coscienza: si tratta di una concezione indubbiamente ottimistica, del tutto inaccettabile per Platone e in larga misura anche per Aristotele.

L’altro elemento dell’uguaglianza ciceroniana è che ogni uomo, indipendentemente dalla propria identità etnica o condizione sociale, gode dello stesso ordinamento giuridico (ordo iuris). Questa concezione contrasta con la teoria aristotelica dell’ordinamento degli schiavi e degli stranieri.

Secondo Cicerone lo Stato ideale non è solamente un’unità organica, uno Stato piccolo (polis), basato essenzialmente sull’autarchia e suddiviso secondo ordini, ma una comunità giuridica di misura cosmica, che comprende ogni uomo.

Quello che spesso manca nelle moderne comunità, dagli enti più piccoli come i Comuni a quelli più grandi, Amministratori che mettono al centro della propria attività politica lo Stato ideale pensato da Cicerone come una comunità giuridica di misura cosmica, che comprende ogni uomo. La politica non è rivalsa. La politica è dialogo. Non è far sentire il proprio peso attraverso comportamenti mirati, diffamatori, delle volte illeciti e prepotenti che hanno dimenticato o non lo hanno mai saputo che la Politica è servizio.

Infatti la mikte politeia non è l’unica condizione per lo Stato ideale: per realizzarlo è necessaria anche l’armonia fra determinati gruppi sociali. I gruppi sociali, nella società moderna possono essere: i sindacati, i dipendenti della pubblica amministrazione, i cittadini, etc.

Cicerone fu il primo a distinguere lo Stato dall’atto del governare e a prestare seria attenzione agli elementi di economia politica nell’attività governativa, come alle questioni del credito, della tassazione, della remissione dei debiti, della riforma agraria, della distribuzione del grano e della colonizzazione agraria.

Torno sul concetto di gruppi sociali, è di ieri la notizia che il Consiglio dei ministri varava la riforma della giustizia: via l’abuso d’ufficio. L’abuso d’ufficio è il delitto che commette il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio il quale, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto (art. 323 c.p.).

Quante volte si legge, la cronaca politica è piena, che Amministratori della cosa pubblica inducono, per poca competenza o per mala fede, il dipendente pubblico nello svolgimento delle funzioni o del servizio a comportamenti/fatti che arrecano ad altri un danno ingiusto. Si assiste ad una mortificazione della cosa pubblica: mortificare la professionalità dei pubblici dipendenti di volta in volta interessati nel loro svolgimento da attività a contenuto professionale.

Esistono le leggi. Le leggi vanno semplicemente applicate. E’ semplice! Altro discorso i “lavativi” o i “furbetti” della pubblica amministrazione.

Per questo che Cicerone ci invitava all’armonia fra determinati gruppi sociali. “Legalità e Res Publica” devo andare insieme: uguaglianza ciceroniana è che ogni uomo, indipendentemente dalla propria identità etnica o condizione sociale, gode dello stesso ordinamento giuridico (ordo iuris).

Ne De re publica, Cicerone si mostra disgustato dall’andazzo politico che sta avanzando. L’angoscia e l’ansia sembrano divorarlo perché è conscio che, da lì a poco, sopraggiungerà la fine. Sottolinea come gli uomini non siano adatti a una concezione meramente astratta delle cose; la ricerca della verità filosofica va di pari passo con la sua applicabilità, quindi in un’effettiva azione di concretezza.

Quella concretezza che nelle comunità politiche moderne spesso manca, e che si vuol chiamare concretezza ma cela solo incompetenza!

Condividi questo post :

Facebook
Twitter
WhatsApp
LinkedIn
Email
Stampa