Diversamente abile, invalido, handicappato: basta! Le parole sono importanti. Le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione. Non è un’esagerazione.
L’uso e la scelta delle parole non può essere lasciato al caso e spesso anche quelle che usiamo comunemente, in modo consapevole o meno, hanno un significato simbolico, etico e talvolta scientifico, che varrebbe la pena di indagare.
Evitare neologismi quali “diversamente abile”, “diversabile”, “disabile”, “persona affetta da disabilità”, “persona con handicap” e altri vocaboli similari sostituendoli sempre con la locuzione “persona con disabilità”. Anche il termine “handicap” deve essere sostituito dalla parola “disabilità”.
Molto chiaro, lasciando poco spazio alle interpretazioni, è l’Art.10 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che afferma il diritto alla vita delle persone: “Gli Stati Parti riaffermano che il diritto alla vita è connaturato alla persona umana ed adottano tutte le misure necessarie a garantire l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità (…)”
“Le parole sono importanti. Basta! Proviamo a non usarli più? Diversamente abile, invalido, disabile: basta! Le parole sono importanti. Di più, le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione… Non è una esagerazione. Cambiamo il linguaggio e cambieremo il mondo. Ci sono parole da usare e non usare. E quelle da non usare non vanno usate. Hai voglia a dire: chiamami come vuoi, l’importante è che mi rispetti. No! Se mi chiami in maniera sbagliata mi manchi di rispetto. Se parliamo di disabilità, proviamo a usare termini corretti, rispettosi? Parole da usare e non usare. Concetti da esprimere o da reprimere. Semplicemente: persona con disabilità. L’attenzione sta lì, sulla persona. La sua condizione, se proprio serve esprimerla, viene dopo. La persona (il bambino, la ragazza, l’atleta ecc.) al primo posto. Questa è una delle indicazioni fondamentali che giungono dalla “Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità” (New York, 25 agosto 2006, ratificata, e quindi legge, dallo Stato Italiano) tratto da http://invisibili.corriere.it/2012/
“Tuttavia, se nell’uso si avverte tanto l’inadeguatezza dei termini più consolidati, spesso connotati negativamente (secondo un sondaggio pubblicato il 20 maggio 2009 dalla rivista “Focus”, handicappato sarebbe ormai avvertito come un vero e proprio insulto) o semanticamente “difettivi” (disabile), quanto dei loro sostituti propositivi (diversamente abile, diversabile), considerati affettati e “politicamente corretti” anche dagli stessi soggetti che nominano (come l’artista David Anzalon detto Zanza, che rifiuta gli eufemismi a vantaggio di handicappato), occorre accettare una complessità che – temo – non può essere risolta con una serie di aut aut, ma che tenga conto dell’evoluzione del dibattito e della varietà dei contesti e delle situazioni d’uso, su cui testare non solo le proprie competenze linguistiche, ma anche le proprie sensibilità: l’insieme – e il bisticcio è voluto – delle proprie abilità.”
“Non hanno però dubbi in merito le associazioni di categoria e lo stesso Miur che in tutti gli atti ufficiali parlano di disabilità e di alunni disabili. Ad esempio, nel Regolamento sulla valutazione degli alunni (dpr 122/2009) all’art. 9 si parla di “Valutazione degli alunni con disabilità”; nel Regolamento sulla rete scolastica (dpr 81/2009) si parla più volte di alunni disabili, ecc. Ma, quando, meno te lo aspetti, a volte ritornano …. E nel decreto legge 5/2012 sulle semplificazioni appena approvato si parla per un paio di volte di “alunni diversamente abili”.”
E’ uno scritto che risale a cinque anni fa, ci può stare che ancora non abbia ancora sdoganato il termine che le associazioni di categoria utilizzano in accordo alla legislazione (e al buon senso). Tratto da Edscuola.
“La scuola educa alla democrazia. Si impara a leggere leggendo, a scrivere scrivendo. Alla democrazia si educa con la democrazia. E che c’entra questo con l’integrazione degli alunni disabili? Oggi l’integrazione, così come lo star bene a scuola (il che non significa disubbidire, rompere le finestre, fare casino, non rispettare le regole), è un valore per tutti. Nella repubblica di Platone, i valori venivano stabiliti dai filosofi. Per i guerrieri la guerra. Per gli iloti, il popolino poco più che schiavo dei potenti, il lavoro che doveva farli sudare per sé e per gli altri. La democrazia impone che tutti i cittadini siano uguali, senza distinzione di sesso e di condizione economica, umana e sociale.”
La democrazia impone anche il rispetto delle leggi, quindi anche della terminologia corretta.
Ultima citazione da una saggia pagina dell’associazione “Nonnotaxi onlus” http://www.nonnotaxi.it/news_vis.ph
Le parole orientano il pensiero: l’importanza del linguaggio nel trattare il tema della disabilità deve essere messo in primo piano, partendo dalla Scuola passando per le Istituzioni.
Il segreto? Leggersi un pò la summenzionata Convenzione ONU che fonda sui diritti delle persone con disabilità, come ad esempio il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte e l’indipendenza delle persone. Pone l’accento sulla non discriminazione, che si fonda sulla piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società.
Basta poco. Davvero poco!