L’appello e la proposta di Valentina Tomirotti, attivista con disabilità, in procinto di iniziare il suo progetto di vita indipendente: “Quello di cui ho bisogno non è un badante, o un assistente familiare, ma una figura sui generis, che non trovo con gli annunci: bisogna istituzionalizzare questa professione e pensare seriamente al durante noi”.
La disabilità non è uguale per tutti: così, la richiesta di assistenza necessaria non è la stessa per tutti. Di conseguenza, l’assistente deve essere “personale” e non “familiare”. Ben più che una sfumatura, è una differenza sostanziale, quella messa in luce da Valentina Tomirotti, alias “Pepitosa”, blogger e attivista con disabilità e per la disabilità. La richiesta è semplice: “Il ministero della Disabilità prenda in mano la situazione dell’assistenza personalizzata e istituisca la figura professionale dell’assistente personale”.
Per spiegare meglio questa esigenza, Tomirotti parla di se stessa e di ciò che le sta accadendo proprio in questi giorni: “Dopo quasi 24 mesi di incontri multidisciplinari, indagini sulle condizioni, parole, tempo, parole, parole, posso finalmente iniziare il mio Progetto di vita indipendente: sono arrivati i fondi di Regione Lombardia per l’ambito territoriale di Mantova, un’opportunità per la persona con disabilità, di scegliere, in piena libertà ed autonomia, come vivere, dove vivere e con chi vivere. Serve sapere cosa si vuole, prendere decisioni importanti e tenere a freno le emozioni: potrebbe essere un piccolo grande stravolgimento di vita”.
Per affrontare questo stravolgimento, si rende necessaria “la presenza di una figura che possa aiutarti nel vivere la giornata: quella che tutti definiscono badante, ma che io preferisco chiamare assistente, per rispetto e perché non tutto ha una sola etichetta”. Ma che tipo di assistente? Premesso che “le disabilità sono più o meno infinite e con esse anche i bisogni correlati, è complicato incastrarsi e ricercare la figura migliore che possa essere perfetta”. Ed è proprio in questa impresa che Tomirotti si sta cimentando ora. “Manca meno di un mese ai miei 40 anni, vivo con i miei genitori e il mio cane anziano in una casa singola a qualche chilometro da Mantova, lavoro, guido, viaggio (non sto elencando per un atto eroico, ma per fotografare la mia realtà), ma ho bisogno di trovare una persona che possa costruire, per lei un rapporto lavorativo, per me una maggiore autonomia nel vivere il mondo”.
Un’autonomia che poggi è garantita dai genitori: “Sono loro a sopperire ai bisogni fisici (dall’igiene, alla vestizione o ad accompagnarmi in viaggio), ma il mio chiodo fisso che mi sveglia ogni mattina è la parola futuro. Si accende nella mia testa con enormi punti di domanda, perché vivo in Italia, dove sul comparto disabilità c’è ancora molto da fare, ma soprattutto da capire”. Di qui la ricerca di “un percorso concreto per garantire il mantenimento di questa autonomia raggiunta”. Un percorso complicato e incerto, perché “troppo spesso le mie necessità (seppur banali) non trovano collocazione tra le righe di un modulo da riempire per partecipare a bandi o entrare in graduatorie dedicate, manca sempre un dettaglio”: manca, in altre parole, “la costruzione della professionalità dell’assistente personale. Se non ci sono bisogni infermieristici, non servono grandi competenze: manualità, accortezza e consapevolezza di cosa si sta costruendo. Sarebbe deleterio cambiare l’assistente in continuazione perché non si è compresa la natura dell’impiego. Entra in gioco la fiducia, il lasciarsi andare nelle mani di uno sconosciuto, o di una sconosciuta. Sentiamo spesso parlare di legge sul ‘dopo di noi’, che pensa sì al futuro, a quando il supporto famigliare non ci sarà più, ma non lavora, non progetta nel ‘durante noi’, sull’oggi, sulla possibilità di costruire un iter di servizi partendo dalla situazione attuale e portandoli avanti finché si ha necessità”.
Accade così che, quando la famiglia viene a mancare, la persona con disabilità si trova a dover affrontare un doppio trauma: “Il lutto e il vedersi mancare quella routine conquistata. Questo trauma spesso si ‘risolve’ istituzionalizzando il soggetto”.
Proprio per iniziare a costruirsi un futuro, a partire dal presente. Tomirotti ha pubblicato, alcunu giorni fa, sui suoi canali social. Quello che definisce “un annuncio onesto, raccontando la figura che cerco, come la lettera dei bambini che cercavano una tata in Mary Poppins. Non cerco una badante o un’assistente familiare, cerco un’Assistente personale con un’appendice’. Ho una disabilità motoria che non mi rende autosufficiente in alcune azioni fondamentali della giornata: in bagno, per l’igiene, nella vestizione o negli accompagnamenti. Ma non finisce qui: la figura che cerco dovrà essere disponibile anche a supportarmi nell’ambito lavorativo, a viaggiare per accompagnarmi negli spostamenti anche per più giorni, ed è questo il dettaglio che fa uscire la mia ricerca dagli identikit classici di assistente familiare. Sicuramente è un percorso non lineare, serve una persona che, al di là di ogni competenza, sappia cosa sta facendo”.
Alla luce delle difficoltà che sta incontrando in questa ricerca, Tomirotti rivolge un appello alla neoministra per le Disabilità Alessandra Locatelli,: “La sento dire ogni giorno che c’è tanto da fare, ma non sento mai quali siano le priorità nello specifico. Se non si sa da dove iniziare, il tema del ‘durante noi’ aspetta solo di essere preso in mano, con il valore e la competenza che merita, perché il tempo passa”.