A 40 anni dall’uccisione del generale dei carabienri mandato a Palermo come prefetto, della moglie Emanuela Setti Carrano e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Era in Sicilia da appena 120 giorni, lui, l’uomo che aveva sconfitto le Brigate Rosse, mandato, come prefetto, a combattere la guerra di mafia che faceva più di un morto al giorno in quegli anni a Palermo.
Il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro furono uccisi da un gruppo di sicari della mafia la sera del 3 settembre 1982 in via Carini, a Palermo. Insieme a loro venne ucciso anche l’agente di scorta Domenico Russo. Dalla Chiesa e la moglie erano a bordo di una Autobianchi A112, mentre l’agente di scorta li seguiva con un’Alfetta a poco più di una decina di metri. Li affiancarono due auto e due moto di grossa cilindrata da cui furono sparati circa 300 colpi con un mitra AK-47, un Kalashnikov.
Setti Carraro era alla guida e Dalla Chiesa tentò di farle scudo con il proprio corpo, ma furono raggiunti da decine di proiettili e morirono sul colpo. Il poliziotto di scorta cercò di reagire ma fu colpito a sua volta e morì in ospedale dopo 15 giorni. Sul fatto che quella sera fosse stato destinato alla scorta di Dalla Chiesa un solo agente ci furono poi molte polemiche.
Passò dalla Campania e dalla Toscana prima di essere inviato a Palermo. Qui il suo impegno fu rivolto alla lotta al banditismo contro gruppi come quello di Salvatore Giuliano. Indagò sulla scomparsa, a Corleone, del sindacalista socialista Placido Rizzotto, per cui venne accusato il boss della mafia Luciano Liggio. Negli anni fu a Como, Roma e Milano per tornare in Sicilia dal 1966 al 1973, anni in cui le sue esperienze si intrecciarono con quelle di altre personalità dello Stato che sarebbero state uccise dalla mafia come Pio La Torre e Boris Giuliano.
Seleziono’ dieci ufficiali, creò nel maggio del 1974 il Nucleo Speciale Antiterrorismo, che riuscì a catturare a Pinerolo Renato Curcio e Alberto Franceschini. Determinante la collaborazione di Silvano Girotto, detto frate mitra. In nucleo fu sciolto due anni dopo criticato per i metodi usati nell’infiltrazione degli agenti tra i brigatisti.
Nel febbraio del 1978 perse, per un infarto, la moglie Dora. In quell’anno, quello del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, riprese la sua lotta contro le Brigate Rosse. Il 9 agosto fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, con poteri speciali per diretta determinazione governativa. Aveva poteri speciali, contestati soprattutto a sinistra come atto di repressione. Anche questi portarono al blitz nel covo di via Montenevoso a Milano, dove furono ritrovate carte riguardanti Aldo Moro, tra le quali un presunto memoriale dello leader democristiano.
Il 16 dicembre 1981 dalla Chiesa venne nominato Vicecomandante generale dell’Arma, massima carica raggiungibile per un ufficiale generale dei Carabinieri. Il 6 aprile del 1982 il Consiglio dei ministri lo nominò prefetto di Palermo. Si insediò in città il 30 aprile, giorno dell’omicidio di Pio La Torre. Il governo Spadolini sperava che l’uomo che aveva sconfitto le brigate rosse potesse fare lo stesso con la mafia. «La mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana» diceva, non convinto che si potesse affrontare come era stato affrontato il terrorismo. Nell’estate di quell’anno sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro. Mai arrivarono i poteri speciali che gli erano stati promessi: «Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì».