Non è ancora concluso il primo mese dell’anno e già si contano più di una decina di infortuni fatali sul lavoro.
Quelli che si usa chiamare “morti bianche”, perché non può non essere una strage morire in un luogo che dovrebbe essere sicuro come il proprio posto. Sono stragi dietro cui non vi è una mano palese, omicidi muti.
Da ultimo un ragazzo di soli 18 anni, venerdì 21, di Udine, muore sul lavoro: era il suo ultimo giorno di stage, stava effettuando quella che si chiama Alternanza Scuola-Lavoro. misura che per ora non ha portato nulla di buono.
Una giovane vita schiacciata da una putrella, morta in una fase prelavorativa, doppiamente bianca, per il lavoro, per l’età.
Ed a seguire, solo per farci una idea: muore un operaio della Silca di Busano –classe ’63-. Stava lavorando ad una sabbiatrice.
A Lecco, morto 19enne colpito da un tronco mentre taglia la legna nei boschi di Sirone, in località La Berta Dolzago (Lecco), 22 gennaio 2022.
Pomezia, cade in un capannone e muore. L’operaio (64 anni) lavorava senza misure di sicurezza
precipitato da una cella frigorifera venerdì pomeriggio nel capannone di una tipografia a Santa Procula
Pomezia (Roma), 22 gennaio 2022.
Precipita giù dal ponte con l’autoarticolato e muore: aveva 39 anni, il drammatico incidente sul Gargano
Carpino (Foggia), 14 gennaio 2022.
Meccanico deceduto per aver prestato aiuto ad un camionista in panne a Frosinone, 14 gennaio 2022.
Campagne di Tarsia: si ribalta il trattore, muore un 40enne.
Besana Brianza, muore operaio di 50 anni schiacciato da un escavatore 63 anni 11 gennaio 2022.
Schiacciato dal peso di un escavatore all’interno di un cantiere edile. Questa la ricostruzione di un incidente mortale sul lavoro costato la vita a un operaio 50enne, brianzolo di Casatenovo (Lecco)
Un 47enne, era impegnato nei lavori di ristrutturazione della filiale Ubi banca di via Padova
Si stacca benna dall’escavatore: muore operaio di 63 anni a Novate muore schiacciato dal trattore a Mafalda, 9 gennaio
Muore operaio 25enne trevigiano padre di due figli, precipitato dall’alto il 5 gennaio. Vergiate (Varese), 03 gennaio 2022
Fatto questo tragico exursus c’è da dire che lo scorso anno sono morti 1404 lavoratori per infortuni sul lavoro, di questi 695 sui luoghi di lavoro, con un aumento del 18% sui luoghi di lavoro rispetto all’anno 2020.
Purtuttavia dobbiamo tener conto che lo scorso anno c’era la emergenza Covid in maniera più intensa, e dunque il fermo attività.
Possiamo però risalire al 2008, anno di apertura dell’Osservatorio sugli Infortuni, per farci una idea. L’aumento dei morti sui luoghi di lavoro è del 9% ed in questi 14 anni non c’è stato nessun miglioramento, nonostante lo Stato attraverso i suoi Istituti ha speso miliardi di euro per la Sicurezza.
L’INAIL dall’inizio dell’anno al 30 novembre ha ricevuto 1116 denunce per infortuni mortali, ma ricordiamo che molte categorie di lavoratori non sono assicurati a questo Istituto nonché quelli soggetti a fenomeni di lavoro in nero e caporalato, soprattutto agricoltori.
In questi casi-morti in nero- la situazione delle varie province e regioni, con relativi morti per infortuni sui luoghi di lavoro escluso itinere è la seguente: le categorie con più morti sul lavoro sono: L’Agricoltura che ha il 30,22% di tutti i morti sui luoghi di lavoro, di questi ben il 75% sono stati schiacciati dal trattore, 158 complessivi a morire in modo così orrendo, e l’età varia dai 14 agli 88 anni.
Il 22% di tutti i morti sui Luoghi di Lavoro di tutte le categorie ha perso la vita schiacciato da questo mezzo.
L’edilizia ha il 15% dei morti sul totale, di queste per la maggioranza sono provocate da cadute dall’alto, sono moltissimi i morti in nero in questa categoria, soprattutto nelle regioni del sud, ma non solo.
Autotrasporto Rappresentano il 10,75 di tutti i morti sui luoghi di lavoro: in questa categoria sono inseriti tutti i lavoratori che guidano un mezzo sulle strade e autostrade (gli autotrasportatori morti sulle autostrade non sono inseriti nei morti delle province), i morti in questa categoria sono aumentati di molto; non sarà un caso che è aumentato in modo esponenziale il trasporto su gomma dovuti agli acquisti on line. Industria Rappresentano il 5,89% di tutti i morti sui luoghi di lavoro, sono relativamente molto pochi; in questa categoria abbiamo inserito le industrie di tutte le categorie (esclusa edilizia).
I morti in questa categoria sono quasi tutti nelle piccole e piccolissime aziende dove non è presente il Sindacato o un responsabile della Sicurezza, Nelle medie e grandi aziende i morti sono quasi inesistenti, quei pochi sono tutti lavoratori che lavorano all’interno dell’azienda stessa ma che non sono dipendenti diretti, ma di aziende appaltatrici: le aziende e i sindacati devono accertarsi che questi lavoratori, che svolgono generalmente lavori pericolosi, svolgono il loro lavoro in sicurezza e siano tutelati come i dipendenti.
In alcune grandi aziende emiliane i datori di lavoro hanno fatto accordi col sindacato per tutelare meglio questi lavoratori in appalto.
Artigiani una miriade di lavoratori artigiani o di loro dipendenti perdono la vita lavorando, ma sono difficili da censire.
Ricordiamoci anche di poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco ed altre Forze dell’Ordine che hanno perso la vita lavorando: anche questi lavoratori non sono assicurati all’INAIL.
Ma quale la tutela per i lavoratori?
La responsabilità penale dei datori di lavoro
Per inquadrarla dobbiamo distinguere la sostanza del dolo da quella della colpa, gli elementi dell’uno con quelli dell’altro.
Da premettere che nel nostro ordinamento la responsabilità del datore di lavoro per la tutela contro gli infortuni sul lavoro – quindi anche delle morti bianche – si fonda su una serie di previsioni costituzionali:
- la tutela della salute nei luoghi di lavoro (ex 32 Costituzione),
- la tutela del lavoro sancita all’art. 35 Cost.,
- la tutela del lavoratore in caso di infortunio o malattia prevista dall’art. 38 Cost.;
- infine l’iniziativa economica privata che non deve arrecare, nel corso del suo svolgimento, danni alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana (ex 41 Cost.).
Per attuare tali principi consacrati nella Carta Costituzionale, il Legislatore nazionale ha previsto tre tipi di responsabilità che possono essere attribuite al datore di lavoro:
- la responsabilità civile,
- la responsabilità penale
- la responsabilità amministrativa.
Ai fini della disamina delle morti bianche è considerevole la responsabilità penale, fondata su fattispecie incriminatrici volte a sanzionare sia condotte colpose che dolose.
In massima sintesi, e senza alcuna pretesa di completezza, occorre precisare che la dottrina autorevole ritiene: Il delitto doloso costituisce il modello fondamentale di illecito penale, dal momento che il dolo rappresenta il normale criterio di imputazione soggettiva: lo so desume in via generale dalla prima parte dell’art. 42, comma 2 del codice penale, ove è stabilito che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo (salvo i casi di delitto preterintenzionale e colposi.
Ciò che contraddistingue strutturalmente il dolo è la presenza di due componenti psicologiche:
- la rappresentazione o coscienza della previsione, e
- la volontà.
Attenzione tali elementi debbono consistere assieme e non separatamente, vale a dire l’uno sì l’altro no. Sono, in buona sostanza, due categorie distinte concettualmente ma in condizione di reciprocità. nihil volitum nisi praecognitum, non c’è volontà se non c’è precognizione/coscienza.
Tale concezione del dolo trova applicazione nel nostro ordinamento, con la definizione legislativa dell’elemento psicologico del reato che statuisce quanto segue: ”È doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”art. 43 c.p. c..
La nozione di dolo è caratterizzata dalla presenza di:
- previsione o rappresentazione e
- volontà del soggetto agente, nei confronti dell’evento dannoso o pericoloso.
D’altro canto, la colpa è l’atteggiamento soggettivo di chi, invece, non ha volontà di azione, omissione e conseguente evento, e talora nemmeno consapevolezza di essi, ma agisce (od omette) e causa l’evento in ragione di un atteggiamento – non deliberato ma – di negligenza, imprudenza o imperizia (c.d. “colpa generica”) o di violazione di leggi regolamenti ordini o discipline (c.d “colpa specifica”, configurabile quindi per la infrazione di regole giuridiche di qualsiasi rango, e, a determinate condizioni, anche di regole di natura esclusivamente tecnica).
La definizione normativa ex art. 43 c. 3 sancisce che: “È colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Dal punto di vista psicologico la colpa presuppone, innanzitutto, l’assenza della volontà diretta a commettere il fatto: la realizzazione della fattispecie colposa deve essere non voluta.
La colpa quindi presuppone l’assenza, nell’agente, di volontarietà della condotta – commissiva o omissiva – e della causazione dell’evento, ma è compatibile con la consapevolezza della prima e la previsione (rappresentazione) del secondo, a condizione che l’agente abbia avuto la convinzione (per un errore determinato da colpa) che l’evento non si sarebbe verificato (c.d. “colpa cosciente”); tale convinzione è il diaframma (talora oltremodo sottile e problematico, come dirò) che distingue la colpa cosciente dal c.d. “dolo eventuale”, nel quale alla volontà della condotta si accompagna la conoscenza del verificarsi dell’evento quale conseguenza di questa, e la consapevole accettazione del rischio che esso effettivamente avvenga (senza la intenzionale e diretta volizione di esso, che caratterizza il dolo, appunto, intenzionale o diretto).
In sintesi la colpa non è nulla di più di una manifestazione di negligenza nel comportamento e priva di volontà.
Tanto ciò premesso al datore di lavoro che intenzionalmente agisce violando una norma – provocando il decesso del lavoratore – è in linea di principio addebitata una responsabilità, appunto dolosa, più grave rispetto a quella prevista per le fattispecie colpose.
In fondo, se un soggetto preposto alla protezione ed alla sicurezza dei lavoratori compie azioni antisociali, le compie come agente tenuto a conoscere la legge che infrange.
La consapevolezza dell’antigiuridicità dell’azione o dell’omissione (cioè dell’esistenza di una disposizione che la vieta o che commina una pena per la relativa violazione) non è generalmente ritenuta componente essenziale dell’elemento soggettivo del reato, il quale non investe elementi normativi.
Ad ogni modo per arginare il grave problema delle morti bianche occorre investire maggiormente su tre aspetti:
- la prevenzione,
- la valutazione dei rischi ed
- i controlli.
In poche parole sarebbe sufficiente un’applicazione rigorosa, da parte dei datori di lavoro e degli organi preposti alla vigilanza, della normativa antinfortunistica contenuta nel D.lgs. 81/2008, oltre alle Direttive europee in materia e – non dimentichiamo – la Costituzione.
Giovanni Di Rubba