Il Lupo Mannaro, racconto pomiglianese dei giorni natalizi

Licantropi e lupi mannari, leggende e mito nel medio evo

Uno dei Cunti pomiglianesi, raccolti tra l’altro ne “Racconti e Fiabe per Dodici Giorni di Natale” di Roberto de Simone narra di tale Zi’ Michele che per lavoro faceva la spola tra il suo paese e Battipaglia commerciando in frutta e verdura.

Una notte, che era quella di Natale, doveva sbrigare una commissione e recarsi a Battipaglia per un carico di mele. La madre, allarmata, lo pregò di non uscire in questa sera, la notte di Natale, infatti, si possono incontrare Lupi Mannari. Egli, incredulo, nonostante le insistenze materne, si mette in viaggio.

Nel tragitto di ritorno incontra per ben tre volte un giovine, la prima volta questi lo invita a fermarsi sino alle nove sul ponte di Pontecagnano, altrimenti i raggi del carretto si sarebbero distrutti a Nocera, egli non lo fa e così accade. A Nocera lo rincontra e questi aggiusta in pochi minuti le ruote, un lavoro che richiede tutta una giornata. Gli raccomanda però di non tornare a casa prima di mezzanotte altrimenti  il suo cavallo morirà. Dopo qualche ora, giunto ad un bivio, intravede un maestoso e orribile licantropo che gli fa perdere i sensi. Il carretto procede, poi, solo sino a casa. Di nuovo si presenta, dopo la mezzanotte, il giovane che gli dice di essere lui il lupo mannaro e di averlo avvisato per il suo bene.

Zi’ Michele, pieno di spavento, torna a casa e racconta l’accaduto.

Il racconto presenta una psicodemanologia locale intrisa di contenuti di carattere simbolico ancestrale.

Quella del lupo mannaro, dal latino volgare lupus hominarius, vale a dire “lupo umano” o dal latino lupī hominēs, sviluppatosi in Italia meridionale dal greco “Licantropo” λύκος lýkos, “lupo” e ἄνθρωπος ánthropos, “uomo”quindi  λυκάνθρωποι lykanthrōpoi  a cui si sarebbe aggiunto un suffisso –rë, è una credenza che si perde nella notte dei tempi.

Egli aveva un valore positivo in età pre-agricola e per i popoli nomadi, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l’astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e demonizzato durante il Medioevo.

Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell’uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell’animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza.

Il pastore e l’allevatore, invece, hanno un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.

Per i Romani, popolo che nasce come agricoltore, il lupo ha una valenza positiva.

Una Lupa si prende cura di Romolo e Remo, così come nel cunto è il giovane che aita il fruttaiolo a riparare la ruota, simbolo dello scorrere del tempo che si dovrebbe, almeno quella notte arrestare per evitare i peggio.

C’è poi, sempre nell’Antica Roma la festa dei Lupercalia) che si celebrava nei giorni nec fasti di febbraio, mese purificatorio (dal 13 fino al 15 febbraio), in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco (in latino Lupercus), cioè protettore del bestiame ovino e caprino dall’attacco dei lupi.

Tale festa fu poi assorbita dalla cristiana Candelora e dalla festa di San Faustino.

 i Lupercali recupererebbero un rito arcadico, una corsa a piedi degli abitanti del Palatino (allora chiamato Pallanzio, dalla città dell’Arcadia di Pallanteo), senza abiti e con le pudenda coperte dalle pelli degli animali sacrificati, tutto in onore di Pan Liceo (“dei lupi”).

Si nota che il Lupo Mannaro coincide con il Fauno, con il Sileno, in queste feste e per la cultura contadina, è un essere ambivalente. È un giovane imberbe ma che si trasforma divenendo pieno dei peli, del sacro manto del lupo.

Esso simboleggia gli istinti, il carattere indomito, l’energia pulsionale, la libido divorante, l’asservimento agli istinti.

Egli, come la fame divorante, rappresenta la trasgressione alle4 regole. Anche nel cunto vuole, seppure bonariamente, evitare il festeggiamento di mezzanotte del Natale. È una creatura della natura. Anche in fiabe nordiche come Cappuccetto Rosso o i Tre Porcellini egli si mette contro le regole, contro la legge, principio del piacere e del divertimento contro principio di realtà.

Trattandosi di lupo mannaro, poi, essi incarnano il dominio temporaneo dei sensi sulla ragione. Evocano lo sdoppiamento dell’Io, con scissione della personalità, l’uomo (dominio dell’Io sul’Es) il gentil giovine e il lupo (dominio dell’Es sull’Io).

Questo racconto mostra dunque anche e soprattutto una lotta all’interno di Zi’ Michele al di là del Lupo Mannaro, tra il voler restare a casa per il Natale ed il dover mettersi in viaggio proprio quella notte.

Giovanni Di Rubba

Bibliografia

AAVV a cura di Eco Umberto; L’Antichità vol 12; Mondadori 2013

De Simone Roberto; Dodici Racconti per Natale

Morel Corinne; Dizionario dei Simboli dei Miti e delle Credenze; Giunti 2006

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