Nelle vene di Aniello Cimitile scorre il sangue di Pomigliano d’Arco. Lo dicono le sue origini familiari, lo ricorda il suo impegno politico ed amministrativo, lo testimonia il suo ultimo libro “Sopra le macerie” con il quale compie un viaggio a ritroso, andando alla genesi del più grande polo industriale del Mezzogiorno, come recita il sottotitolo, e dando un volto e un nome ai lavoratori dell’Alfa Romeo della cittadina dell’hinterland napoletano. Il volume di Cimitile, edito da Tullio Pironti , è un grande affresco di un mondo che non c’è più ma non è un’operazione nostalgia. Attraverso un’indagine accurata e meticolosa, infatti, l’autore ricostruisce i fatti realmente accaduti senza scadere mai nell’amarcord, con un piglio scientifico e narrativo, proprio di chi ha indossato per una vita intera i panni del ricercatore accademico.
Nello Cimitile racconta, attraverso le vicende della ricostruzione dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, a partire dal 1943 e fino al 1953, l’intreccio tra lavoro e soggettività operaia, rinascita post bellica e fabbrica. Un decennio nel quale si formano il Partito Comunista, il Sindacato e un nucleo di classe operaia che segnerà l’intera storia successiva del territorio. Una interessante ricostruzione storica che sconfina a tratti nel romanzo.
Nello Cimitile, come per chi come me viene da una storia di impegno e militanza, è sempre una grande emozione, e sono davvero tanti i ricordi, le battaglie, gli insegnamenti, i risultati ottenuti che mi tornano alla mente. Dai tempi del CIPC ……
Nello è un maestro, nel senso più pieno e nobile del termine. Lo è stato certamente per una generazione alla quale appartengo, come figura politica a tutto tondo, per chi lo ha conosciuto e per chi ne percepisce la grandezza solo a distanza o studiando la sua figura.
Una figura di spessore e qualità tale da essere di esempio e di ispirazione. Una di quelle personalità il cui pensiero e la cui azione restano e resteranno utili alla democrazia, al corretto ed equo esercizio della cittadinanza, a ogni prospettiva di crescita sana della comunità.
Nello ci ha insegnato il coraggio delle idee e la forza dell’impegno. Ci ha fatto vivere il senso più pieno di una comunità di valori e persone.
Ci ha insegnato che la rappresentanza del lavoro è questione che interessa la vita delle persone, i diritti e la concreta possibilità di esercitarli, l’uguaglianza come valore primario, che significa stare dalla parte di chi ha meno opportunità, dei più deboli e più bisognosi.
Ci ha trasmesso cosa significa far vivere ogni giorno, nell’esercizio delle proprie funzioni e responsabilità, quel programma riformatore per cambiare questa società, dando concretezza a valori come l’eguaglianza, la libertà, la democrazia, lo sviluppo, la conoscenza, la giustizia, la salute, la pace. Sono i valori che contano nel progresso umano e non dobbiamo abbandonarli all’ideologia ma viverli quotidianamente.
“Non abbiate mai paura delle novità – ama dire – non rifiutate la realtà perché vi presenta incognite nuove e non corrisponde a schemi tradizionali magari profondamente radicati in voi. Non rinunciate alle vostre idee.”
Ma veniamo al libro:
Lo stabilimento Alfa Romeo Avio di Pomigliano d’Arco, impiantato celermente in clima prebellico, sembrava nato giusto per essere distrutto, prima dalle mine naziste e poi dalle bombe alleate del 1943.
Le maestranze, oltre seimila, erano state tutte licenziate e era già in esecuzione il piano di recupero e trasferimento al Nord di materiali e macchine salvate.
Accadde invece che Ferruccio Parri, primo Presidente del Consiglio dell’Italia Repubblicana, alla sua prima visita al Mezzogiorno, come primo atto, venne a rendere omaggio ai circa cinquecento lavoratori che, dalle macerie, avevano rimesso in piedi i primi reparti, salvato e messo in funzione oltre trecento macchine, testardamente difese da ogni tentativo di portarle via.
Rimettere in piedi l’embrione produttivo del futuro polo industriale di Pomigliano non bastava, bisognava anche realizzarne le premesse culturali e sociali. Un drappello di ex braccianti, contadini, muratori, artigiani e garzoni di bottega, trasformati da pochi anni di fabbrica in “operai metalmeccanici”, si assunse la grande missione storica di essere il motore primordiale e locale di un mondo nuovo.
Furono quei nuovi soggetti sociali gli unici a volere a e votare, a Pomigliano d’Arco, per la Repubblica. Giorno dopo giorno, la loro azione trasmigrò l’antica società rurale in quella nuova e industriale.
Accamparono diritti e migliori condizioni di vita di contadini e lavoratori, alimentarono lotte e movimenti, valori e principi di cultura operaia avanzata, crearono nuove relazioni e modelli di vita sociale, fondarono ex-novo il proprio Partito, organizzarono il Sindacato in fabbrica e la Camera del Lavoro sul territorio.
Furono i pionieri sia della società sia della sinistra industriale pomiglianese.
Cammino esaltante, ma anche tormentato: pagato a caro prezzo, quotidianamente, fra scomuniche, rappresaglie e repressioni, fra resistenza del “vecchio” e contrapposizione di un “nuovo” ostinatamente diverso da quello che si voleva costruire.
Storie individuali destinate a perdersi nella nebbia del tempo e che invece governarono ragioni e sentimenti, riflessioni e passioni. Infine, su questo drappello di operai generosi, perfino audaci “fabbri” del proprio destino, si è abbattuta la scure ingiusta di un oblio collettivo.
Un lavoro di ricostruzione storica e di memoria che Pomigliano attendeva e al quale è stata dedicata una ricca e lunga presentazione, avvenuta mercoledì scorso presso la Sala delle Capriate di Pomigliano, con la partecipazione del sindaco Gianluca Del Mastro, del vicesindaco Eduardo Riccio, Ferdinando Di Dato, Francesca Russo coordinati da Francesco Romanetti.
“Quei lavoratori hanno segnato una svolta nella storia di Pomigliano e anche nella storia dell’industria nel mezzogiorno, con conquiste irreversibili e insegnamenti più attuali che mai. Vi sono valori che oggi sembrano “normali” ma che furono loro a seminare. Quanti sono i monarchici oggi in giro? Eppure in un sud che incredibilmente votò per la monarchia sabauda, a Pomigliano loro furono gli unici che votarono per la Repubblica e festeggiarono la cacciata dei Savoia. Questo è solo un esempio fra i tanti che includono anche lo sviluppo del più grande polo industriale del sud. Quanto alla tenacia operaia, bisogna dire che quello spirito, che pure ha pervaso tutta la città, appare in questa fase un po’ appannato o alla ricerca di nuovi e grandi obiettivi. Ma fra le grandi lezioni di quella tenacia ce n’è una che vorrei sottolineare: il Sud non si aspetti che altri ci portino progresso e sviluppo. Come fecero quegli operai, dobbiamo essere noi i primi protagonisti del nostro destino, dobbiamo essere noi a costruircelo, ad imporlo, a difenderlo, anche se intorno ci sono solo macerie.” Inizia così Nello Cimitile il suo lucido ed appassionato intervento
“Quei lavoratori capirono la decisiva importanza della scuola e dello studio come strumento di riscatto individuale e collettivo; oggi, nella società informazionale tutto ciò è addirittura vitale. La divisione fondata sulla conoscenza è la fonte di nuove e grandi diseguaglianze fra popoli e aree geografiche, fra settori sociali, fra comunità e individui. La produzione di conoscenza, l’accesso ad essa, la capacità di selezionarla, di usarla e piegarla ai nostri bisogni sono i nuovi diritti da affermare e difendere: chi non avrà queste possibilità è condannato alla subalternità, alla emarginazione, allo sfruttamento altrui e alle nuove povertà. Intorno a noi si sono poi moltiplicate fonti e sorgenti di informazioni, di rappresentazioni di conoscenza. Addirittura non siamo più l’unica intelligenza al centro dell’universo, ma siamo in rete con tante altre intelligenze artificiali. Siamo immersi, anche quando dormiamo, in una quantità di informazioni enormi che viaggiano a velocità incredibili, sono analizzate e elaborate con potenze di calcolo inaudite per un singolo cervello umano e si accumulano in memorie artificiali ben superiori alle nostre. Senza studio permanente, formazione e capacità di analisi e selezione possiamo solo essere stupidi e manipolabili servi altrui.” Prosegue ancora il professore
Come si racconta nel libro, a quei tempi c’erano spazi per confrontarsi politicamente, oggi quegli spazi sono sempre più virtuali che fisici. I nuovi luoghi e i nuovi modi ancora non si affermano e non si stabilizzano. Quei lavoratori fondarono i partiti, i sindacati, le sezioni, le camere del lavoro… Dove sono le strutture e le infrastruture politiche di questa nuova società? Chi sta costruendo gli organismi della democrazia di questo secolo? Sono i talk show nei quali la politica non si fa ma si consuma? La rete è indubbiamente uno dei luoghi della politica, ma come ci si organizza, come ci si dà una identità collettiva, come si struttura la nuova necessaria democrazia? Domande ancora in attesa di risposte; intanto le formazioni politiche sono tutte precarie, liquide fino a diluirsi e svanire al vento dei sondaggi e in tempi di durata sempre più breve. Strutture transitorie verso un nuovo che ancora fatica a venir fuori.
Ora le macerie sono quelle lasciate dalla società industriale e quelle prodotte dalla transizione verso la società informazionale. Sono le macerie prodotte dalla economia e dalla finanza globale, dalle grandi concentrazioni capitalistiche mondiali. Sono quelle lasciate dalla mutazione del valore del lavoro con la sempre maggiore centralità del lavoro immateriale. Sono le macerie delle diseguaglianze, di nuovi e sempre più insostenibili squilibri nella distribuzione e accumulazione di ricchezza, della divisioni fra ricchi e poveri; sono le macerie delle nuove povertà e delle ingiustizie sociali, generazionali, di genere, delle distruzioni e mutazioni ambientali, della fragilità sociale rispetto ad ogni tipo di emergenza, come quella pandemica che stiamo vivendo. Bisogna fare in fretta e sfoderare la tenacia e la forza di quei lavoratori se non vogliamo che questo mondo nuovo sia fatto tutto ad immagine e somiglianza, come loro avrebbero detto, dei nuovi papaveri per giunta mondiale.In questo quadro la situazione del nostro Mezzogiorno si è oggettivamente aggravata; in Italia lo squilibrio Nord-Sud si è accentuato. Ora può accedere, come accadde in quel dopoguerra, che si punti tutto sul sistema produttivo del nord senza capire che invece la leva per della ripresa sta nel Sud. E’ il sud che deve essere il perno delle transizioni ecologica e digitale, è il sud che deve dispiegare tutte le sue enormi potenzialità. E’ qui che bisogna costruire infrastrutture materiali e immateriali, investire in ricerca e alta formazione, in produzioni di beni e servizi non solo sostenibili e tecnologicamente avanzati, ma capaci di proporre nuovi e creativi usi della conoscenza, aprendosi anche ai bisogni emergenti in settori come
l’ambiente, la salute, la sicurezza. C’è questa visione?
Nel corso degli anni, la gente del meridione ha dimostrato volontà e capacità inimmaginabili, oggi più che mai, nel segno di quella volontà siamo chiamati ad affrontare le nuove sfide in una Italia disuguale, la cui ripresa deve per forza passare dalle nostre parti, così come il Prof. Cimitile ci ha descritto.
Il confronto tra passato e presente, d’altronde, è molto calzante. Così come nel dopoguerra toccò agli operai ricostruire la loro fabbrica distrutta, prima dalle mine naziste e poi dalle bombe alleate del 1943, così sarà compito delle classi dirigenti attuali rimettere in piedi la società scossa dal vento forte del Covid 19 che ha rotto gli argini delle sicurezze su cui eravamo seduti.