Un attacco terroristico senza precedenti, che appare come una vera e propria dichiarazione di guerra, colpisce gli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Gli attentati dell’11 settembre 2001 furono una serie di quattro attacchi suicidi coordinati, compiuti contro obiettivi civili e militari degli Stati Uniti d’America da un gruppo di terroristi appartenenti all’organizzazione terroristica al Qaeda.
Ci sono giorni che cambiano la storia. La maggior parte li abbiamo studiati sui banchi di scuola, da ragazzi. Altri è la toponomastica delle città a ricordarceli, dando il nome a vie o piazze importanti: XX Settembre, XXV Aprile, Primo Maggio, IV Novembre… A ogni giorno corrisponde un evento scolpito nella memoria, spesso tragico, altre volte festoso, come la liberazione da una dittatura o la fine di una guerra. Fra le tante date possibili, però, una è diversa da tutte le altre. Ed è l’11 Settembre. Non serve neppure spiegare cosa ricorda: lo sappiamo perfettamente. E la ragione è evidente: quel giorno è unico, perché – a differenza di tutti gli altri – non ce l’hanno raccontato o insegnato, ma lo abbiamo vissuto – ognuno di noi lo ha vissuto – e lo abbiamo fatto in tempo reale, nell’istante esatto in cui la storia del mondo scriveva una delle sue pagine più nere.
Quel giorno, per la prima volta, mostrare il terrore in diretta tv – senza filtri e senza preavviso – faceva parte di un piano preciso, di una strategia studiata a tavolino, di una guerra psicologica combattuta nella mente del nemico, prima ancora che con i fucili e con le bombe. Dopo che il primo aereo dirottato dai terroristi di Al Qaida si era schiantato sulla Torre Nord del World Trade Center, i televisori accesi in ogni angolo della Terra mostrarono in mondovisione il secondo Boeing 767 che entrava nella Torre Sud e la attraversava come un coltello incandescente in un panetto di burro. Mai si era vista una scena più innaturale e incredibile, una missione suicida che la mente umana – fino ad allora – non era arrivata neppure a immaginare.
C’erano stati l’atomica su Hiroshima e Nagasaki e il massacro di Pearl Harbor, è vero, ma quelli erano atti di guerra militari, non attentati terroristici compiuti da civili (anche se è paradossale definire così quei terroristi senza onore e senza scrupoli). Il piano ideato da Osama Bin Laden e dai suoi seguaci ha riscritto la storia delle guerre perché puntava a seminare il panico, a far crollare le Borse e a destabilizzare l’intero pianeta, più ancora che a seminare morte e distruzione ed abbattere i simboli di quel potere americano sul mondo che molti allora contestavano e che altrettanti oggi rimpiangono, perché è sempre meglio essere invasi da Mc Donald’s e Coca Cola che essere dilaniati dalle bombe di fanatici estremisti. Quel folle piano – portato a compimento esattamente vent’anni fa oggi – fu tremendamente efficace: mentre le Torri Gemelle implodevano, accartocciandosi in una nuvola di fumo grigio, il terrore si diffuse a ogni latitudine: all’improvviso, nessuno sulla Terra si sentì più al sicuro. Quanti erano gli aerei dirottati in volo sulle nostre teste e nei cieli del mondo? Quanti e quali erano i bersagli? E da chi erano telecomandate quelle bombe a distanza?
Il Boeing 757 dell’American Airlines mandato a schiantarsi contro il Pentagono e l’aereo dell’United Airlines fatto precipitare dai passeggeri in rivolta per impedire che arrivasse a Washington (obiettivo probabile: la Casa Bianca) alimentarono il dubbio che i terroristi potessero colpire ovunque, senza alcuna possibilità di essere fermati.
Da Sidney a Milano, da Tel Aviv a Toronto, da Cape Town a Rio De Janeiro passando per Tokyo, Parigi e Londra, quell’11 Settembre tutto il mondo si sentì sotto attacco, esposto, protagonista involontario e impotente di un evento claustrofobico
. Furono momenti di totale smarrimento, non a caso ognuno di noi esattamente dov’era e cosa stava facendo quel giorno, incollato davanti alla tv, con gli occhi sbarrati e l’incredulità di assistere davvero a ciò che si stava compiendo.
Da allora sono passati vent’anni e poco è cambiato, in realtà: a Ground Zero, dove prima c’erano le Torri Gemelle, ora svetta la Freedom Tower e la vita è tornata a scorrere frenetica fra Central Park e Staten Island, ma la minaccia terroristica è tutt’altro che cessata. Anzi, dopo aver compiuto altre stragi in Europa e nel mondo (a Parigi, a Londra, a Sousse, al Cairo, a Berlino…) il terrorismo dei fondamentalisti islamici continua a essere un problema, un fuoco che cova sotto la cenere – parzialmente soffocato dalla pandemia, ma mai definitivamente spento – che potrebbe riprendere vigore e divampare in ogni dove e in ogni momento: lo dimostrano i recentissimi fatti dell’Afghanistan e lo confermano anche qui, nelle nostre città, i blocchi di cemento tutt’ora parcheggiati (non dimenticati) nelle aree destinate a ospitare gli eventi più affollati, Covid permettendo
Da quell’11 Settembre 2001 sappiamo che nessuno è al sicuro e che il pericolo può arrivare quando meno ce lo aspettiamo (a un concerto, in uno stadio, mentre facciano la spesa al supermercato) e da qualsiasi parte (dal cielo, dal mare, da terra). La prossima volta l’arma letale usata dai terroristi potrebbe essere un virus, con o senza corona. Oppure un malware, un programmino informatico in grado di infettare e rendere inutilizzabili i nostri computer, i nostri telefonini, tutta la tecnologia cui abbiamo affidato la gestione delle nostre case, dei nostri soldi, del nostro lavoro. Fantascienza? No, possibilità concreta. Per questo dobbiamo stare in allerta, con gli occhi aperti e le antenne dritte, forse addirittura in posizione d’urto. E affidarci agli unici supereroi che possono difenderci davvero: gli esperti, i servizi di intelligence, le forze armate, le istituzioni. In una sola parola: lo Stato, il nostro bistrattato, antico, criticatissimo e a volte criticabile Stato. In realtà, la nostra unica arma di difesa, il nostro unico scudo contro i nemici della sicurezza, della convivenza civile e della libertà.