AGI – “Nessuno ci ha avvisato della messa in onda del servizio: domani (oggi ndr) nel corso di una conferenza stampa, avremo modo di spiegare il nostro pensiero su tutto questo”. È il commento all’AGI dell’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, in merito alla notizia, data da La7, di una pista familiare (uno zio ormai defunto che avrebbe molestato una sorella di Emanuela).
“Oggi ho capito che sono delle carogne. Hanno deciso di scaricare tutto sulla famiglia, senza vergogna, senza vergogna, mi fanno schifo”. È il duro commento su Facebook del fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, dopo il servizio su La7.
La pista dello zio di Emanuela
Dalle carte consegnate poche settimane fa dal promotore di giustizia Vaticana, Alessandro Diddi, alla procura di Roma emerge una scambio di lettere potenzialmente dirompente nell’inchiesta lunga 40 anni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Una pista che ha già parziali riscontri per essere stata in parte già seguita e poi inspiegabilmente abbandonata tra le tante di questi anni e che ricondurrebbe all’interno della famiglia della ragazza la sua misteriosa scomparsa.
Il carteggio, si spiega nel servizio, risale al settembre 1983, quando della 16enne figlia di un messo della prefettura della Casa pontificia e cittadina vaticana non si hanno notizie ormai da tre mesi. Nella massima riservatezza l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli scrive un messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia da Giovanni Paolo II.
Il destinatario della lettera viene interpellato su una circostanza specifica e potenzialmente legata al caso, della quale è a conoscenza in quanto per lungo tempo il prelato è stato consigliere spirituale e confessore della famiglia Orlandi. Casaroli vuole avere da lui conferma del fatto che la sorella maggiore di Emanuela, Natalina, gli abbia mai rivelato di essere stata molestata sessualmente dal loro zio, oggi defunto, Mario Meneguzzi.
L’uomo è il marito di Lucia Orlandi, sorella del padre di Emanuela e Casaroli a stretto giro di posta diplomatica riceva la conferma di questo episodio, sul quale era stato sollecitato da ambienti investigativi romani: “Si’, è vero è la replica scritta che arriva da Bogotà, Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima”.