Dopo di noi: le persone con disabilità dimenticate !

Vedere madri di 80 anni, stanche e fragili, che assistono da sole il figlio con disabilità di 50 anni ci sbatte in faccia un enorme fallimento: la legge “Dopo di noi” non funziona come dovrebbe.

È stata pensata per garantire una vita in autonomia «protetta» ai ragazzi non autosufficienti anche quando i loro genitori non ci saranno più o saranno troppo anziani e non avranno più le forze per aiutarli. È stata scritta per inserirli in case famiglia anziché in istituti e strutture assistenziali come avveniva fino alla fine degli anni Settanta. È stata emanata per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave, per il raggiungimento dei quali il legislatore ha previsto importanti strumenti pubblici e privati, questi ultimi accompagnati da significativi sgravi fiscali.

Tuttavia al momento, su 150mila famiglie che avrebbero diritto a questo percorso, solo 8mila ne beneficiano. La legge 112 è ufficiale da circa otto anni presenta gravi falle.

Si c’è un ministero alla Disabilità, ma il punto di partenza per correggere il tiro è lavorare sui motivi per cui non sono stati utilizzati tutti i soldi disponibili ad applicare la legge del 2016.

L’anno scorso la Corte dei conti ha firmato una relazione davvero drammatica secondo cui, sui 466 milioni stanziati dal governo in sette anni, ben 226 non sono stati spesi. Cioè, c’erano e nessuno li ha ricevuti. Quasi non servissero. Il motivo? Molte Regioni non hanno presentato al ministero il resoconto dei loro progetti nei tempi stabiliti.

Con il risultato che 140mila famiglie vivono ancora nell’incertezza e tra mille difficoltà, tamponate in parte da associazioni di volontari e cooperative no profit. Eppure quei soldi servono: alla singola famiglia, alla realizzazione delle case famiglia, alla formazione degli educatori e degli assistenti. A far decollare un progetto che, una volta a regime, sarà un’enorme lezione di democrazia.

L’Anffas (Associazione delle famiglie e persone con disabilità intellettive) ha esplicitamente chiesto allo Stato di commissariare «senza indugio» tutte quelle Regioni e quegli «ambiti inadempienti» o di rimuovere i funzionari che non fanno il loro dovere piuttosto che ritardare o ritirare i finanziamenti e penalizzare chi invece ne avrebbe bisogno. «Non è possibile che nessuno si assuma la responsabilità di così tanti soldi non spesi e di così tante famiglie che non hanno trovato una soluzione per i propri figli. La legge è molto chiara e utile, va solo applicata» è la posizione di Roberto Speziale, presidente Anffas.

«Bisogna garantire a tutti i disabili di poter potenziare la propria indipendenza con percorsi che cominciano dai 15-16 anni con un lavoro extra scolastico – spiega il presidente Anffas -. Noi chiamiamo l’avvio all’indipendenza palestra delle autonomie: è un iter che accompagna i ragazzi in un lento e graduale distacco dalla famiglia per essere inseriti in case famiglia. Ovviamente nei loro nuovi «nuclei famigliari» ci saranno tutor e persone che li assisteranno. Ma è giusto che, per quanto possibile, diventino autonomi e vivano con i loro amici: l’effetto emulativo e lo spirito di competizione fanno molto nel percorso verso l’autonomia. Insomma, non vogliamo ci sia mai più, a un certo punto della vita dei disabili, la spasmodica ricerca di un posto letto dove piazzarli. Ma vogliamo confezionare un abito sartoriale cucito su misura su ognuno di loro».

Primo nemico da combattere: la burocrazia. Anche prima della legge Dopo di noi, dal 2006 al 2013, del fondo di mezzo miliardo costituito per le disabilità, sono stati spesi solo 240 milioni, meno della metà. Una delle migliorie che verrà apportata al provvedimento riguarda anche le modalità per attingere ai finanziamenti: oggi spesso i soldi sono vincolati per chi è «interdetto», e quindi a una piccola fetta di persone con disabilità, ma potrebbero essere estesi a tutte le disabilità e ai tutori.

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