Titan, morti i 5 passeggeri e rottami: cosa è successo e quando

La morte è probabilmente stata istantanea, i passeggeri a bordo non hanno avuto neanche il tempo di rendersene conto. La Guardia Costiera di Boston ha annunciato ieri sera il ritrovamento di rottami del sommergibile Titan a 500 metri della prua del Titanic. «Una catastrofica implosione», l’ha definita il comandante dei soccorritori, il contrammiraglio John Mauger, per il quale «i detriti sono coerenti con la catastrofica perdita della camera di pressione».

In tarda mattinata le autorità avevano fatto sapere che uno degli ROV (remotely operated vehicles) mandati nel fondale nella complessa e gigantesca operazione di ricerca aveva scoperto un «campo di detriti» vicino al relitto. Per alcune ore gli esperti hanno cercato di capire se si trattasse di rottami nuovi oppure di quelli appartenenti al Titanic presenti tra i due tronconi del transatlantico spezzato. Per primo David Mears, membro dell’Explorers Club, amico di due membri dell’equipaggio — Hamish Harding, miliardario ed esploratore britannico, e di Paul Henri Nargeolet, ex capitano della Marina francese — ha detto alla Bbc che tra i detriti c’erano parti del sottomarino, incluso il «telaio d’atterraggio» (collocato alla base del sommergibile che consente di appoggiarsi ad una nave o al fondale) e la parte posteriore appuntita del mezzo. Subito dopo il ritrovamento dei detriti, Guillermo Soehnlein, cofondatore della società OceanGate Expeditions — insieme all’amministratore delegato Stockton Rush che era tra i cinque passeggeri — aveva espresso il timore che potesse essersi verificata una «implosione istantanea» del sommergibile; «Quando si opera in profondità la pressione è così grande su qualsiasi sottomarino che, se si verifica un guasto, può esserci una implosione istantanea. Se questo è ciò che è successo, sarà avvenuto già quattro giorni fa».

Nei giorni scorsi erano stati rivelati i molteplici dubbi sollevati già in fase di sviluppo, sulla resistenza dello scafo sperimentale in fibra di carbonio del Titan, che non era stato certificato da organismi indipendenti. Un dipendente della OceanGate era stato licenziato dopo aver scritto un rapporto nel quale avvertiva che erano necessari ulteriori test sullo scafo e, secondo alcune fonti, lo stesso Rush era consapevole di problemi causati dalla ripetuta discesa alla profondità di 4.000 metri. Fino alla fine gli esperti coinvolti nel salvataggio non avevano rinunciato a sperare. Anche dopo l’ora «x» in cui si stimava che l’ossigeno a bordo del Titan fosse ormai esaurito, la corsa contro il tempo per salvare i passeggeri era continuata, con una decina di navi e aerei messi a disposizione da Usa e Canada e di equipaggiamenti provenienti da Francia e Gran Bretagna. C’era chi si aggrappava alla speranza che i passeggeri fossero riusciti a risparmiare ossigeno oltre alle 96 ore inizialmente stimate, grazie alla loro esperienza.

Ad alimentare la speranza era stata la notizia di rumori captati dai sonar: si era ipotizzato che potessero essere «umani», dunque provenienti dal Titan, ma gli esperti non erano riusciti a escludere che si trattasse invece di suoni dell’oceano, del relitto o magari prodotti dagli stessi mezzi impegnati nella ricerca. Senza riscontri, l’area perlustrata era rimasta enorme, pari a due volte le dimensioni della Campania. Oltre al robot francese Victor 6000, capace di arrivare ad una profondità di seimila metri e di spostare oggetti con le braccia meccaniche, era stato mobilitato un mezzo della Marina statunitense che può recuperare oggetti pesanti nell’oceano. Ma tutto ciò che potranno recuperare sono i resti dell’implosione

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