Anziani maltrattati nella casa di riposo di Napoli: 7 arresti a Chiaia, tra le vittime una donna di 100 anni. Servono leggi più severe! (L’Editoriale)

Sette persone sono finite in manette a Napoli con l’accusa di aver maltrattato, vessato e minacciato degli anziani in una casa di riposo nel quartiere Chiaia, zona in della città partenopea. Le manette sono scattate nella mattina di giovedì 8 giugno per operatori sociosanitari (Oss) accusati, in concorso fra loro, di maltrattamenti continuati e pluriaggravati in danno di persone affidate alla loro cura e vigilanza.

La letteratura corrente fornisce una moltitudine di definizioni adeguate e appropriate sul significato di rischio clinico. Nella maggioranza dei casi i protagonisti inconsapevoli sono i pazienti. Un rischio, spesso sottovalutato, ma sicuramente preoccupante, è l’abuso e dal maltrattamento degli ospiti delle case di riposo.

Pietro Vigorelli su Psicogeriatria nel 2012 ben sintetizza alcune tra le motivazioni profonde che generano comportamenti di mal pratica assistenziale: “focalizzazione sul risultato, (perseguire la qualità valutando solo i risultati ottenuti con scarsa attenzione alle corrette procedure), confusione tra fini e mezzi, (l’attività assistenziale deve essere il mezzo per perseguire il fine che deve rimanere sempre il benessere dell’ospite, la qualità di vita o meglio la felicità possibile), sostituzione della velocità alla lentezza, dell’efficienza all’efficacia, (il tempo non è mai sufficiente, bisogna trovare il modo di fornire una buona assistenza con i parametri che sono attualmente in uso perseguendo quello che per gli ospiti sono gli aspetti più importanti e cioè quelli della vita quotidiana a discapito delle attività programmate, rispettando i loro tempi), eseguire il compito assistenziale senza tener conto della volontà dell’ospite (In RSA la vita quotidiana è scandita in tempi e modi che hanno a che fare con le scelte della struttura o degli operatori; la volontà degli ospiti resta in secondo piano. Inoltre la convivenza tra tante persone rende difficile l’espressione della volontà di ognuno, soprattutto degli ospiti)”.

Nel caso in oggetto, a finire al centro dello scandalo è la struttura per anziani che si trova lungo corso Vittorio Emanuele a Napoli, centro che sarebbe dovuto essere dimora sicura per gli anziani e si è invece trasformato in un luogo di dolore. Secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Napoli, non solo gli anziani vivevano in condizioni al limite, ma giornalmente venivano vessati, minacciati e anche aggrediti da alcuni Oss.

Tra le vittime anche anziana centenaria. I carabinieri della compagnia Napoli centro supportati dai colleghi del Nil e del Nas hanno effettuato perquisizioni e accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle persone nella struttura per anziani che si trova al corso Vittorio Emanuele 656. Intervenuti sul posto anche il personale dell’Asl e i carabinieri della sezione rilievi del Comando provinciale di Napoli.

Gli ospiti della struttura presi di mira dagli operatori sociosanitari hanno età compresa tra gli 80 e i 100 anni.

Come in altri Paesi del mondo, anche in Italia, la violenza contro gli anziani si presenta come una realtà sfuggente e in larga misura occulta, rappresentabile efficacemente come “effetto iceberg” sempre più diffuso e in continua espansione. I dati sulla diffusione del problema in istituzioni quali gli ospedali, le case di riposo e altre strutture di lungodegenza sono scarsi, anche per l’assenza di una specifica legislazione a tutela dell’anziano.

Il Ministero della Salute, in una informativa dell’OMS del 2014 riporta che: “Un’indagine effettuata negli Stati Uniti sul personale delle case di riposo suggerisce tuttavia che le cifre siano elevate:

  • il 36% degli intervistati ha assistito ad almeno un episodio di maltrattamento fisico ai danni di un paziente anziano nel corso dell’anno precedente
  • il 10% ha commesso almeno un atto di abuso fisico ai danni di un paziente anziano
  • il 40% ha ammesso di abusare psicologicamente dei pazienti.”

In un’indagine rivolta agli ospiti RSA dell’Istituto Redaelli di Milano: la percezione delle relazioni di cura da parte dei nostri anziani attraverso un’analisi che ci permettesse di cogliere la loro consapevolezza del fenomeno attraverso il racconto dei loro vissuti.

Nel 2017, sono stati intervistati 19 ospiti, 7 uomini e 12 donne; nel 2018, sono state somministrate 28 interviste, a 10 uomini e 18 donne, diversi da quelli intervistati l’anno precedente, in grado di rispondere adeguatamente alle domande dell’intervistatore.

Di seguito le caratteristiche della popolazione:

  • Età media: 80 anni
  • Mini Mental >=19/30
  • Livello di autonomia: Barthel medio 46/100
  • Tempo medio di ricovero: 3,4 anni nel 2017, 2,6 nel 2018

In base al significato delle domande poste durante l’intervista, hanno identificato 3 categorie di sintesi. Per primo lo stare, in cui hanno racchiuso le prime due domande, “Qui si sente a casa” e “Qui si sente al sicuro”; osservando i dati è evidente un miglioramento dei giudizi nella dimensione dello “stare” seppur “Casa è casa, tornerei subito a casa ma nelle mie condizioni di salute non posso, sarei in difficoltà” e “A casa faccio tutto da solo, qui no. Ma qui mi piace l’ambiente e sono in compagnia” anche se “Mi sento al sicuro quasi sempre, tranne quando c’è un operatore che non fa niente”.

La seconda categoria riguarda la relazione che raggruppa il sentirsi trattati con rispetto, con gentilezza e ascoltati. Si osserva un lieve calo nel sentirsi rispettati ed un lieve miglioramento negli altri due casi. Inoltre emerge dall’indagine pubblicata su https://www.luoghicura.it/servizi/residenzialita/2021/07/abuso-e-maltrattamento-agli-anziani-i-risultati-di-unindagine-in-rsa/ come gli ospiti in molti casi, riconoscano di avere subito un torto ma nello stesso tempo trovano una giustificazione ai loro curanti nella fretta dovuta alla mole di lavoro da compiere “Mi sento trattato con rispetto quasi sempre…alcune persone sono veramente gentili, altri forse sono provate dal lavoro e mi tengono il muso”. “Qualcuno ha più fretta, premura, sono di fretta però anche gli operatori sono oberati di lavoro”.

Per ultimo hanno identificato sinteticamente il giudizio dell’ospite riguardo all’aver avuto paura o essersi sentito maltrattato. Mentre aumenta il senso di paura spesso non legato a comportamenti subiti, ma osservati su altri “Io per me stessa non posso dire niente. Però la mia vicina, che non parla e che dipende dagli operatori, a volte non viene trattata molto bene…” e riemerge il discorso della fretta “Raramente, magari per la fretta”, “Paura no, ma fastidio e rabbia, si”, diminuisce l’essersi sentiti maltrattati “Maltrattata no, ma un po’ trascurata spesso” ed emergono osservazioni legate anche al servizio offerto “Una volta hanno lasciato i piatti sporchi nella mia camera sul vassoio sopra il mio letto fino alle 22.00 ed io volevo dormire” che pongono in evidenza la percezione dei “gesti assistenziali di contorno”.

Tale indagine è indicativa. Affrontare il fenomeno del maltrattamento e degli abusi all’interno di una struttura presuppone il cambiamento del punto di vista, passando dalla considerazione di un evento “impensabile” al riconoscimento di una eventualità possibile. Solo ponendosi a questo livello si può definire un piano d’azione che preveda l’esplorazione, l’analisi e le conseguenti azioni di miglioramento per trattare il fenomeno.

All’interno della struttura è pertanto fondamentale prevedere le seguenti azioni:

  • costruire e sperimentare procedure e strumenti dedicati alla prevenzione e rilevazione degli abusi e dei maltrattamenti e successivamente includerli nella metodologia di lavoro e di cura;
  • attribuire responsabilità anche nell’ambito di ruoli già esistenti;
  • investire nella formazione specifica sul tema della propria équipe di operatori.

Quando si parla di maltrattamenti su soggetti fragili come gli anziani ricoverati in RSA o Casa di riposo è importante sottolineare che le strategie di prevenzione devono essere trasversali rispetto ai ruoli e alle professionalità degli operatori.

In conclusione, si spera che venga riconosciuto il valore scientifico del tema, promuovendo analisi e studi che coinvolgano diverse strutture, affinché si possano realizzare protocolli e strumenti condivisi e procedure validabili da inserire nei percorsi formativi delle diverse professioni sanitarie.

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