Giovanni Falcone, 31 anni fa la strage di Capaci

31 anni fa la strage di Capaci per mano di Cosa Nostra. Il 23 maggio del 1992 una bomba fece saltare in aria l’auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, la moglie, il magistrato Francesca Morvillo, e quelle degli agenti della sua scorta. Due mesi dopo, stessa sorte per Paolo Borsellino. “La mafia è un cancro, ma non è invincibile”, sottolinea il capo dello Stato Mattarella in occasione dell’anniversario. Giornata della memoria a Palermo con diverse iniziative: nel pomeriggio due cortei verso l’Albero Falcone, in via Notarbatolo, dove alle 17,58, l’ora della strage in autostrada, un trombettiere della polizia suonerà il silenzio.

Sono passati più di 30 anni da quando Cosa nostra dichiarò guerra allo Stato attraverso gli attentati a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, i due magistrati che hanno rivoluzionato la lotta alla mafia. Furono tra i primi a capire che per colpire i clan bisognava aggredire innanzitutto i loro capitali. Grazie alle loro innovative indagini patrimoniali, si passò dall’immagine della vecchia mafia con coppola e lupara alla visione moderna di Cosa nostra come una Spa, un impero di aziende e patrimoni immobiliari, capace di stringere accordi con imprenditori, professionisti e le più alte cariche politiche. È con i due magistrati siciliani che assume un ruolo centrale nelle indagini la figura del pentito: le rivelazioni fatte dall’ex capomafia Tommaso Buscetta a Falcone costituiscono la base del più importante procedimento giudiziario contro Cosa nostra: il Maxiprocesso, che ricostruisce per la prima volta l’intero organigramma della mafia siciliana e porta all’ergastolo dei principali boss della mafia, a partire da colui che la sentenza riconosce come il Capo dei Capi, Totò Riina.

La priorità del problema mafioso in Italia
Dall’altro lato preoccupa, tuttavia, il calo tendenziale di priorità attribuita al problema mafioso che registriamo a distanza di un anno: a considerare quello delle mafie “il problema più urgente” o “uno dei problemi più urgenti” per l’Italia è ancora una maggioranza (il 55%), ma il dato segna un calo di ben 7 punti rispetto al 2022. Se si declina la domanda sul Mezzogiorno la percentuale attuale è del 61%, ma il calo è addirittura di 8 punti rispetto ad un anno fa.

Ancora: l’importanza di parlare di antimafia nelle scuole appare anch’essa in calo, confermando un trend già registrato a marzo in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. A ritenere “fondamentale” o “abbastanza importante” che a scuola si parli dei temi legati alla lotta alle mafie è oggi il 71%, a marzo il dato si attestava al 76% e un anno fa al 79%.

L’importanza della cultura della legalità
La percezione della gravità del fenomeno mafioso è ancora molto alta e i sondaggi mostrano una grande consapevolezza della necessità di perseverare nella lotta, anche culturale ed educativa, al fenomeno mafioso. Il mutamento di pelle delle mafie italiane e la loro adozione di modus operandi meno appariscenti dal punto di vista della violenza armata –ben percepiti dalla popolazione– stanno però forse lentamente allentando la percezione del pericolo e attenuando la priorità attribuita al problema.

L’importanza di coltivare la cultura dell’antimafia è riconosciuta ampiamente, ma forse quest’ultima deve seguire più da vicino questo mutamento e affiancare agli indispensabili momenti di commemorazione elementi di approfondimento che facciano comprendere come le mafie, anche se abbandonano la loro dimensione tradizionale per assumerne una globale passando “dalla lupara alla finanza internazionale”, rimangano pericolose come e più di prima.

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