Terzo settore e Welfare (L’Editoriale)

Il sistema degli interventi e dei servizi sociali è complesso e determinante per le funzioni di
welfare in capo allo Stato, chiamato a soddisfare in modo tempestivo e adeguato i bisogni
sociali, economici, di cura e assistenza di fasce crescenti di popolazione.

Riguardo al meccanismo di funzionamento dei servizi sociali, con l’emanazione della legge n.328/20002 gli enti territoriali (Regioni e Comuni) diventano i pilastri del welfare locale. Le Regioni acquistano un ruolo centrale nel settore delle politiche sociali esercitando funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo, mentre i Comuni diventano titolari della gestione di interventi e servizi sociali a favore dei cittadini. In attuazione al principio di sussidiarietà i Comuni devono promuovere “azioni per favorire il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel Terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.

L’ingresso del Terzo settore nel sistema di welfare sancisce il passaggio importante da un sistema di erogazione dei servizi tipicamente centralizzato (state) a un sistema di integrazione delle risorse dei soggetti pubblici con quelle disponibili presso i soggetti del cosiddetto privato sociale (mix). Nel modello di welfare mix la ripartizione dei ruoli vede i Comuni impegnati (Bertotti et al. 2017) nella fase di selezione dell’utenza, attraverso le funzioni di presa in carico e definizione del progetto personalizzato di inclusione sociale e nella fase di esternalizzazione dei servizi (bandi, convenzioni ecc.), mentre il Terzo settore è impegnato nella realizzazione degli stessi (Gori e Gessner 2018).

L’Unione europea ha intensificato negli ultimi anni l’attenzione nei confronti della dimensione sociale, nel tentativo di spingere gli Stati membri a considerarla in modo più equilibrato in rapporto alla dimensione economica. Tale processo di rivalutazione orientato al rafforzamento dei diritti sociali culmina a fine 2017 con la sottoscrizione congiunta a Göteborg del pilastro europeo dei diritti sociali.

L’interesse è qui concentrato sui servizi sociali in stretta connessione con i diritti affermati nel testo di Göteborg. Il pilastro rappresenta un’estensione dell’acquis comunitario delle formulazioni preesistenti in materia, integrato di nuovi diritti sociali, rispondenti alle nuove sfide legate alle mutate condizioni di bisogno. I diritti sociali sanciti nel pilastro spaziano dal diritto all’istruzione alla formazione, dalla parità di genere al sostegno attivo all’occupazione e al reddito, dal diritto all’assistenza a quello all’abitazione. I soggetti titolari dei diritti promossi dal pilastro sono le persone in stato di bisogno, le persone vulnerabili, i gruppi sotto rappresentati; i bambini e i minori, specie quelli che vivono in contesti svantaggiati; le donne, i giovani, i disoccupati, i disoccupati di lungo periodo; i genitori e le persone con responsabilità d’assistenza; gli anziani. Sia pure nel perimetro non vincolante della soft law, il pilastro costituisce una traccia di riferimento per la ridefinizione dei sistemi di welfare nazionali posti di fronte a rischi ed emergenze sociali vecchi e nuovi.

Gli enti del non profit nel quadro della Riforma del Terzo settore: il processo di riforma, avviato con legge n. 106/2016 Delega al governo per il Codice del Terzo settore, 5 per mille, impresa sociale e servizio civile universale è ispirato dalla necessità di armonizzare le normative esistenti su Associazionismo di Promozione Sociale30, Organizzazioni di Volontariato31, Cooperazione Sociale32, Onlus33, oltre alla recente normativa sulle Imprese Sociali e Fondazioni34. La riforma conta di cinque decreti attuativi: D.Lgs. n. 40/17 del 6 marzo 2017, Istituzione e disciplina del servizio civile universale; D.Lgs. n. 117/17 del 3 luglio 2017, Codice del Terzo settore; D.Lgs n. 112/17 del 19 luglio 2017, Disciplina dell’impresa sociale; D.Lgs n. 111/17 del 18 luglio 2017 sul 5 per mille; DPR 28 luglio 2017, Approvazione dello statuto della Fondazione Italia Sociale.
La prima novità riguarda la definizione civilistica degli Enti del Terzo settore (ETS), contenuta nell’art.4 del Codice del Terzo settore (CTS) dove vengono qualificati come “organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento in via esclusiva e principale di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, e iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore.”

Caratteristica fondamentale degli ETS rimane l’assenza di scopo di lucro, che viene maggiormente caratterizzata nel CTS onde evitare che dietro la qualifica formale si nascondano pratiche elusive o veri e propri sistemi di evasione fiscale. L’art.8 del CTS prevede infatti espliciti divieti per qualificare l’assenza di scopo di lucro oltre alla distribuzione diretta di utili, fondi e riserve, che riguardano la distribuzione ‘indiretta’.

Dall’obbligo di redigere il bilancio sono esonerati gli enti con ricavi/entrate/rendite o proventi al di sotto dei 220.000 euro che possono redigere il rendiconto di cassa. Gli obblighi di revisione legale valgono invece solo per gli ETS di maggiori dimensioni. Tali soglie sono stati introdotte/modificate con il decreto correttivo del 2018 (D.Lgs. n. 105) che interviene sugli obblighi di bilancio (art.13 del CTS) e stabilisce che gli enti del Terzo settore per essere ‘non commerciali’ devono avere una quota di ricavi non superiore al 10 per cento sui relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi (art. 23 del decreto succitato). Un’altra modifica sul fronte tributario è stata la reintroduzione per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro per gli atti costitutivi e per quelli connessi allo svolgimento delle attività, così come era già previsto dalla L. n. 266 del 1991.

L’offerta di servizi sociali del non profit ha carattere marcatamente polivalente: la media degli enti si posiziona su due delle sette aree di servizio43 offrendo almeno dieci servizi elementari diversi. La scarsa propensione alla specializzazione dei provider è legata, in larga misura, alle prerogative tipicamente labour intensive44 del modello di produzione, presupposto per l’utilizzo delle risorse umane in economia di scala e funzionale alla messa a punto di pacchetto d’offerta versatili rispetto alle richieste del mercato.

L’area di servizio sociale più rappresentata è quella dei Servizi di informazione, sostegno e accoglienza della persona (59,1%), ambito che raggruppa al suo interno il numero
più alto di servizi elementari, molti dei quali appartengono al bagaglio storico di offerta pubblica (come ad esempio il servizio sociale professionale). Questa prima evidenza lascia intuire quanto il non profit sia penetrato nello spazio d’azione un tempo di esclusiva competenza statale. Seguono, in ordine di importanza, i Servizi diurni (48,8%) area in cui il Terzo settore vanta un’esperienza pluriennale45. Di un certo rilievo anche l’offerta di Servizi di Integrazione Socio-Educativa e Lavorativa (39,2%), ambito dedicato a percorsi inclusivi volti all’uscita permanente delle persone dal perimetro del bisogno sociale. Elevata la presenza di provider anche per l’area dei Servizi residenziali (36,5%) caratterizzata dal ciclo continuo (h24) delle prestazioni. L’ambito dei Servizi di emergenza e marginalità sociale (30,1%), invece, presenta un valore modesto se rapportato alla forte coerenza tra valenza benefattiva delle prestazioni e vocazione solidaristica del non profit. I Servizi Domiciliari (29,7%), in passato fulcro del sistema di outsourcing dei servizi sociali, hanno ora minor rilievo a causa dei forti tagli alla spesa sociale (Brunori et al. 2009). Chiude la rassegna l’area dei Servizi economici e di sostegno al reddito (11,6%) spazio scarsamente popolato da fornitori non profit perché presidiato dall’intervento dello Stato.

Diversamente, dalla disaggregazione per tipologie giuridiche di non profit emergono alcune
differenze. La più importate riguarda i Servizi Residenziali, forniti in misura significativamente superiore alla media (36,5%) da Fondazioni (66,3%), Cooperative Sociali (59,3%) e Altri enti non profit (52,6%), mentre è poco presente l’offerta da parte di Organizzazioni di Volontariato (18,6%), Associazioni di Promozione Sociale (20,9%) e Associazioni non riconosciute (26,1%). Tendenza opposta si rileva nei Servizi di Informazione, Sostegno e Accoglienza della persona, forniti perlopiù dagli enti a vocazione volontaria (Gui 2017) quali Associazioni di Promozione Sociale (73,2%) e Organizzazioni di Volontariato (65%), e poco frequentati dalle organizzazioni a vocazione d’impresa46 (Borzaga e Musella 2003) quali Cooperative sociali (47,2%) e Fondazioni (48,2%).

L’ambito dei provider non profit di servizi sociali conta (figura 2.2) quasi un milione di addetti50 tra occupati e volontari (954.240), cifra di indubbio rilievo e segno dell’importanza di un settore per molti ‘opaco’ (Bifulco 2015) e, generalmente, diluito nel vasto universo del Terzo settore. La maggioranza degli addetti è composta da volontari (499.858, pari al 52,4%) diffusamente impiegati nella fornitura degli interventi di welfare nonostante il rischio di instabilità e discontinuità delle prestazioni (Dorigatti et al. 2018). Il 33,9% del totale degli addetti è invece impiegato con contratto a tempo indeterminato, il 6,3% è costituito da personale a tempo determinato, mentre il personale con contratto di collaborazione o con altri tipi di inquadramento è pari rispettivamente al 4,8% e al 2,6%, per un totale di 454.382 addetti occupati (47,6%). La decisa prevalenza di lavoro dipendente nella componente occupata risulta soddisfare, probabilmente, l’esigenza di continuità degli interventi, irrinunciabile nella produzione dei servizi sociali.
Dal confronto tra servizi sociali offerti dal non profit e Terzo settore nel suo complesso risulta che il rapporto tra numero di dipendenti e volontari è molto più bilanciato nei servizi sociali. Infatti, questi ultimi registrano un valore di quasi un volontario su un dipendente (i volontari sono 52,4% i dipendenti 47,6%) a fronte del dato riferito a tutto il Terzo settore dove il rapporto è di un dipendente su 8 volontari. Il maggiore equilibrio tra forze volontarie e retribuite nei servizi sociali è, con buona probabilità, determinato dalla necessità di sostenere l’attuazione degli interventi con risorse stabili e professionalmente selezionate (De Luca 2004).

I servizi possono avere una finalità assistenziale, socio-inclusiva o di prevenzione e mediazione. I servizi assistenziali hanno una natura passiva che si traduce in
forme di sostegno alla persona globali. Rientrano in questa fattispecie le prestazioni monetarie che non hanno copertura assicurativa o contributiva da parte del percettore, le prestazioni rivolte a non autosufficienti, minori e disabili e persone con particolari fragilità sociali. Sul versante opposto si trovano i servizi a fini socio-inclusivi, che implicano invece l’attivazione degli utenti a tutto campo, puntando a processi di crescita e reinserimento sociale attraverso l’acquisizione e/o mantenimento – da parte degli stessi utenti- di competenze comportamentali, cognitive, affettive e relazionali (Associazione Nazionale Educatori Professionali 2012). Infine, i servizi a finalità di prevenzione e mediazione sono un mix bilanciato di azioni inclusive ‘leggere’ (ad esempio la facilitazione, la mediazione ecc.), generalmente a carattere non selettivo, rivolte ad ampie fasce di popolazione, allo scopo di intervenire all’insorgere del bisogno sociale.

Nei servizi sociali il fabbisogno di risorse umane è strettamente legato alla tipologia di prestazione, in particolare, i servizi che operano in ambienti a richiesta stabile (come ad esempio i servizi a ciclo continuo h24) consentono una pianificazione delle risorse fissa e di lunga durata, mentre la maggior parte dei servizi sono a richiesta variabile, caratterizzati da flussi incostanti causati dall’ingente turn over di utenza. Alcuni servizi, come ad esempio la mediazione, sono addirittura a chiamata.

La macro-area dei Servizi diurni è altamente polivalente soprattutto in considerazione della grande varietà di utenza: minori, disabili, anziani e famiglie. L’accesso all’area è pertanto differenziato: le strutture di tipo educativo-ricreativo (ad esempio ludoteche e centri di aggregazione sociale) operano a bassa soglia a fronte di quelle sanitarie ed educative
che prevedono la presa in carico. La finalità è l’inclusione sociale e tutte le prestazioni hanno un metodo di erogazione specialistico. Il fabbisogno di risorse umane non presenta un andamento comune nelle varie strutture: nei presidi a carattere socio-sanitario è stabile, invece nel resto dei centri è altamente variabile (nei centri estivi è addirittura stagionale). La presenza di attività connesse al vitto, alloggio (non notturno) e assistenza alla persona richiede la regolamentazione da parte di Regioni e Comuni che esercitano controlli sul funzionamento delle strutture. I centri, in genere, sono tenuti ad accreditarsi attestando il possesso di requisiti di funzionamento e garantendo il presidio delle funzioni con figure professionali titolate, mentre il regime autorizzativo è previsto solo per alcuni presidi dell’area socio-sanitaria. Le prestazioni diurne svolgono importanti funzioni di sostegno allo sviluppo delle autonomie personali e di supporto alle famiglie, esercitate a pieno titolo dagli organismi non profit (48,1%) perlopiù su committenza pubblica.

Questi sono solo alcuni esempi.

Per fronteggiare la crescita dei bisogni sociali della popolazione è necessario oggi investire sul sistema dei servizi sociali sviluppando e migliorando performance e offerta. Se da un lato l’ambito dei servizi sociali è ancora poco definito, persistendo elementi di confusione (con il sistema sanitario) e distorsione (nel controllo e valutazione dei servizi), d’altro canto ne va data opportuna evidenza ai cittadini in considerazione della stagione di nuova centralità che il sistema sta vivendo in qualità di filiera di supporto agli interventi di sostegno al reddito.

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