Pomigliano, elezioni 2023: no a strumentalizzazioni, ritornare ad un clima sereno. Nel ricordo di Sciascia (L’Editoriale)

La Redazione di Report Vesuviano dalla propria pagina facebook ha sin da subito manifestato l’ incondizionata solidarietà al candidato sindaco dei Verdi, Salvatore Cioffi, aggredito venerdì sera, al termine di una iniziativa elettorale, da due persone scese da uno scooter a volto coperto, che lo hanno preso a calci e pugni. Salvatore Cioffi, 51 anni, candidato di Europa Verde, ha annunciato che continuerà la propria campagna elettorale.

Proprio nella giornata di venerdì sera, arrivava immediata la solidarietà del candidato sindaco Lello Russo dalla propria pagina facebook: “La coalizione riformista esprime la totale solidarietà al candidato Salvatore Cioffi per la grave aggressione patita nei pressi del parco Aurora. Sul posto immediatamente si è presentato il candidato sindaco Lello Russo per esprimere personalmente la sua incondizionata solidarietà. Tali episodi inquinano una competizione elettorale che si è svolta in modo sereno e civile. Confidiamo nella preziosa opera delle forze dell’ordine per assicurare alla giustizia tali personaggi“.

Solidarietà anche dal consigliere regionale Valeria Ciarambino, residente a Pomigliano ma che non sostiene politicamente Cioffi. «Mi auguro che le forze dell’ordine facciano presto chiarezza su questo fatto gravissimo – ha detto – un episodio inquietanti dai contorni oscuri». «Quello che è successo ieri al nostro candidato sindaco Salvatore Cioffi ci ha profondamente inquietati. Potremmo dire che andiamo avanti, che non ci fermeremo, che ci sentiamo più forti di prima. Invece no, tutto ciò ci ha scossi, ci ha turbati». Così in una nota gli esponenti di Europa Verde di Pomigliano d’Arco.

Un raduno, quello di domenica scorsa, per dire no ad ogni forma di violenza e sopraffazione, con l’arrivo a sorpresa per pochi minuti di Lello Russo, candidato a sindaco a Pomigliano, giunto sul posto per dare la sua incondizionata solidarietà alla vittima del pestaggio di venerdì sera. Ma il saluto del candidato sindaco della coalizione riformista ha visto lo scambio verbale con il consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli.

Borrelli nelle ore successive diramava un comunicato: <<Russo con me – scrive – ha usato un tono intimidatorio che richiama alla violenza. Ma con noi non attacca>>.

Immediata la replica di Lello Russo, sempre dalla sua pagina fb, a Borelli: “NO ALLA SPECULAZIONE POLITICA! Abbiamo espresso grande solidarietà a Salvatore Cioffi per il gravissimo atto di aggressione; lo abbiamo ribadito nel comizio di Paciano e lo ribadiremo in ogni nostra manifestazione ma non possiamo tollerare le dichiarazioni di Borrelli e di Bonelli. Chiamare in causa il fenomeno della camorra a Pomigliano offende la nostra città oltre che l’immagine di Salvatore Cioffi, la quale sarà da noi preservata in ogni ambito“.

Intanto, domenica 14 e lunedì 15 maggio si andrà a votare, e certo la città di Pomigliano d’Arco ha bisogno più che mai di serenità, e le dichiarazioni del consigliere regionale dei verdi, che forse poco conosce la realtà pomiglianese, su delle affermazioni estrapolate in un video pubblico dalla pagina facebook del candidato Lello Russo di un eventuale negazione della camorra a Pomigliano, alimenta tensione tra i cittadini.

In questo “famoso” video, il dott. Lello Russo faceva sicuramente un ragionamento molto più ampio che la criminalità va combattuta dalle forze dell’ordine, che fanno già un grande lavoro sul territorio e che la polizia municipale deve assolvere ai compiti di polizia municipale: viabilità, piano traffico, lotta a chi occupa senza diritto i posti delle persone con disabilità, soste selvagge, sicurezza per le strade, intensificando i turni nelle ore notturne.

Entrare nell’arena dello scontro, non giova alla comunità, non giova a nessuno.

Riproponiamo una riflessione di qualche settimana fa in un nostro editoriale che prendeva spunto da I professionisti dell’antimafia di Sciascia.

Era il gennaio del 1987 quando Sciascia uscì definitivamente dall’alveo del “politically correct”, dopo romanzi di critica e denuncia.

Il 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera uscì, a firma di Leonardo Sciascia, un articolo intitolato “I professionisti dell’antimafia” e dedicato al rapporto tra politica, popolarità e lotta alla mafia. A fornire lo spunto era un libro di Christopher Duggan, ricercatore a Oxford e allievo di Denis Mack Smith, che raccontava la parabola di Cesare Mori, il castigamatti della mafia durante il Ventennio fascista.

Sciascia aveva già trattato l’argomento, seppur di passaggio, nel Giorno della Civetta esprimendo una tesi lapidaria. Affrontando il tema in maniera più specifica, raffinava la sua tesi e inseriva il contrasto di Mori alla mafia nel quadro più ampio delle lotte interne al partito fascista.

Sciascia traeva una morale scomoda e tutt’altro che “storica”: l’antimafia, adoperata con abilità e spregiudicatezza, può diventare un formidabile strumento per fare carriera, procurarsi il consenso del pubblico, acquisire crediti da spendere in qualsivoglia impresa. Nel gennaio del 1987 la provocazione di Sciascia destò scalpore. Quasi trent’anni prima lo scrittore aveva mostrato all’Italia l’esistenza della mafia, squarciando una spessa cortina di pudori, silenzi compiaciuti, omertà; e adesso che l’onda dell’antimafia montava in tutto il Paese, sceglieva di andare controcorrente.

In un comunicato, il Comitato antimafia di Palermo bollò lo scrittore come un “quaquaraquà”, prendendogli a prestito la definizione, e lo accusò di seminare zizzania nel fronte, già esiguo e spaurito, degli avversari di Cosa Nostra.

A distanza di anni, anche la vedova di Borsellino ha riconosciuto che “Sciascia aveva capito tutto in anticipo”. Il carrierismo, in magistratura come altrove, è un male serio: un egoismo insano proiettato sul successo professionale e la scalata del cursus honorum. Riportando le circostanze della nomina del nuovo procuratore di Marsala, Sciascia non si limitava a stigmatizzare il caso concreto. Offriva un esempio per rintracciare un fenomeno più ampio. E certamente non voleva attaccare Borsellino.

Piuttosto che un’aggressione contro personaggi in voga ma a lui sgraditi, l’articolo di Sciascia era una riflessione circostanziata sui sintomi del malcostume italiano: sull’approssimazione e la superficialità, sull’apparenza che scalza la sostanza, sull’insofferenza a ogni forma di disciplina, anche interiore.

Rileggendo dopo oltre vent’anni l’articolo dello scandalo, si scopre che lo Sciascia “giornalista” si concilia perfettamente con lo Sciascia scrittore. E il suo messaggio appare chiaro, più chiaro fuori dalle nubi della polemica. Vincere la mafia richiede lo sforzo di vincere due volte. Vincerla e staccarsene nettamente, schiacciarla affermando una superiore dignità, un primato morale. Per questo, crede Sciascia, i nemici della mafia non possono venir meno all’humanitas, derogare alle regole e al governo della ragione. Per questo, fino a quando il Paese non si assoggetterà a una morale che la giustizia per prima accolga e rappresenti, la mafia non sarà battuta.

Solidarietà a Cioffi per il vile agguato.

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