L’accaduto
A seguito di un incidente, una persona, rimasta tetraplegica ma deambulante con una invalidità pari all’80% che gli rende difficile poter fare le scale per raggiungere, con la continuità richiesta dalla normale quotidianità, l’appartamento in cui vive con la sua famiglia (4° piano senza ascensore), chiede ai condomini di istallare un ascensore esterno in maniera tale da facilitare i suoi movimenti quotidiani.
Malgrado egli si sia offerto di eseguire l’istallazione a sue spese, i condomini non accettano.
Egli allora si rivolge al suo comune di residenza presentando un’istanza di permesso a costruire per la realizzazione di un ascensore esterno ai sensi della L. n. 13 del 1989 nel cortile interno al fabbricato dove insiste il condominio.
Nell’istanza la persona si qualificava come proprietario che aveva la proprietà esclusiva dell’intervento e dichiarava che le opere riguardavano parti dell’edificio di proprietà comune ma che non necessitano di “assenso” da parte degli altri condomini poiché le modificazioni erano totalmente a carico del richiedente ed inoltre non alteravano la destinazione delle parti comuni permettendo a tutti di usufruirne secondo il loro diritto.
Dopo il diniego del Comune
l ricorso al Tar.
Considerate le motivazioni relative al diniego operato dal Comune, l’istante decideva di ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale per l’accertamento della formazione del cd. “silenzio – assenso” da parte della Pubblica Amministrazione sulla domanda di permesso a costruire depositata previa però la sospensione dell’efficacia del provvedimento con cui il Comune negava il permesso a costruire del ricorrente.
Il Tar, decidendo in ordine all’istanza cautelare avanzata dal ricorrente la respingeva motivando la decisione poiché dagli atti non risultava che “il ricorrente abbia mai sottoposto all’assemblea dei condomini il progetto di realizzazione dell’ascensore che appare, prima facie, interessare parti comuni dell’edificio, tra cui l’area cortilizia condominiale ove vengono parcheggiate le autovetture”.
La normativa.
Orbene, analizziamo la normativa di riferimento.
La norma di carattere generale, invocata anche dall’istante nel permesso a costruire presentato in Comune, è l’art. 1102 del Codice Civile secondo cui “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.
La norma dell’art. 1102 c.c. è una norma di carattere generale e pertanto derogabile.
La Cassazione, in tante sentenze ha affrontato l’argomento, dipanando ogni aspetto della questione, anche alla luce di specifiche e particolari ipotesi.
Si legge in sentenza che «in considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà, si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi – necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione – che l’uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (v. Cass. 30 maggio 2003 n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4617; 24 giugno 2008 n. 17208; Cass. 9 giugno 2010 n. 13879). […] Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso. In altri termini, l’estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (v. Cass. 1 agosto 2001 n. 10453; 14 aprile 2004 n. 7044; Cass. 6 novembre 2008 n. 26737; Cass. 18 marzo 2010 n. 6546).» (Cass. 21 dicembre 2011, n. 28025)
La norma del 1102 c.c. ha carattere generale.
In ciò si innesta la Legge n.13 del 1989 che contiene le disposizioni del Ministro dei lavori pubblici per eliminare e favorire il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici, abitazioni private, locali privati aperti al pubblico, edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata, o agevolata, e nei trasporti pubblici.