Con il termine baby-killer si vuole fare riferimento a soggetti che sono giovanissimi e compiono omicidi. Questi sono, spesso, minori di 14 anni ed agiscono da soli rendendosi colpevoli di omicidio.
Il comportamento omicidiario è l’espressione di un profondo malessere personale.
Il fenomeno dei baby-killer appartiene alle nuove forme di criminalità che si stanno sviluppando e diffondendo anche in Italia, in questi ultimi tempi.
La violenza giovanile, infatti, oggi, non si concreta più solo in semplici bravate dimostrative, ma tende ad esprimersi con maggior frequenza anche in preoccupanti comportamenti omicidiari.
Bambini molto piccoli arrivano, con apparente disinvoltura, ad uccidere.
Ciò ci induce ad interrogarci sul concetto infantile di morte per comprendere il significato che i bambini attribuiscono ai termini morire ed uccidere.
La nozione di morte nel bambino piccolo non è equiparabile, ovviamente, a quella posseduta dall’adulto.
Al di sotto dei 6 anni circa, infatti, la morte viene concepita come un evento temporaneo e paragonata al sonno.
Avendo quindi una concezione non realistica di morte, il bambino che uccide non si rende conto di causare un evento irreversibile e di compiere un’azione irreparabile.
Idee erronee sulla morte vengono alimentate, inoltre, dai mezzi di comunicazione di massa, soprattutto la televisione ed il web.
La televisione ed il nuovo mondo dei videogames hanno trasformato la morte in un gioco, in uno spettacolo, rendendola meno permanente e meno angosciosa. Stesso dicasi per i cosiddetti giochi di ruolo sul web o simili, ed i Social Network.
Incapaci di distinguere tra realtà e fantasia i bambini possono rimanere disorientati dalle immagini trasmesse dal piccolo schermo fino al punto di formarsi la convinzione che la morte sia un evento fittizio dal quale è possibile rinascere.
La vittima del baby-killer non è casuale ma scelta in virtù di determinate caratteristiche.
Si tratta di un soggetto odiato o di una persona che per alcune peculiarità lo rappresenta.
La vittima può essere un sostituto o un surrogato dell’individuo che si vorrebbe colpire, viene identificata con una figura interna deprivante e frustrante ed è quindi capace di attivare il conflitto inconscio che spinge l’omicida ad uccidere.
La vittima può essere anche una persona sulla quale il bambino proietta la parte cattiva di sé, essa diventa il contenitore dei propri impulsi inaccettabili, un oggetto verso il quale riversare la propria ostilità ed aggressività.
La vittima “tipica“ è quella più accessibile e vulnerabile o quella che suo malgrado riesce a porsi in una situazione di vulnerabilità.
Quando un baby-killer uccide qualcuno nel gruppo dei pari è in genere per dimostrare la propria forza e la propria superiorità.
I ragazzini che rivestono il ruolo della vittima sono amici di scuola o compagni di gioco dell’aggressore: si tratta di solito di soggetti fisicamente deboli, passivi, remissivi e tranquilli.
Egli adotta un comportamento aggressivo e violento poiché lo ritiene essere l’unico modello valido di affermazione.
Una categoria particolare di vittime è costituita dai genitori. I padri o patrigni, uccisi dai propri figli sono uomini irascibili, violenti, spesso alcolizzati ed abusanti.
Vengono descritti come padri assenti, punitivi e poco affettuosi.
Le madri sono di solito donne dominanti e possessive ma anche madri rifiutanti ed ambivalenti che mostrano atteggiamenti seduttivi verso i figli.
La letteratura criminologica documenta di una serie di casi in cui le vittime sono state pugnalate più di sedici volte o sono state strangolate ripetutamente.
Questi segni di accanimento riflettono il carattere feroce del delitto, che è mosso da impulsi incontrollabili.
Di solito, infatti, l’attacco omicida è di natura impulsiva e spontanea : il carattere improvviso dell’omicidio si evince dal fatto che spesso non sono presenti segni di premeditazione e di pianificazione e l’arma utilizzata è quella che l’assassino trova a disposizione.
Diversi sono i mezzi lesivi impiegati dai baby-killer per uccidere.
La morte della vittima viene cagionata da accoltellamento, da soffocamento, da strangolamento, da annegamento o da ferimento con corpo contundente.
Le armi da fuoco risultano essere il mezzo più frequentemente utilizzato nel compiere questi delitti e ciò va certamente attribuito alla facilità con cui i bambini americani hanno accesso a pistole e ad altre armi nella propria abitazione o sulle strade.
L’esecuzione del reato avviene di solito in uno stato mentale dissociativo, chiamato sindrome di episodic dyscontrol.
Durante l’atto violento l’omicida fa esperienza di sentimenti transitori di estraneità e di distanziamento da sè stesso e dalla realtà esterna.
Attua inconsciamente una dissociazione difensiva nei confronti delle proprie pulsioni distruttive che vengono agite fuori dalla sua consapevolezza.
Questa momentanea “fuga dal reale” spiegherebbe anche l’amnesia che comunemente segue l’azione omicida dei giovani killer.
Dall’esame della casistica è possibile identificare due differenti tipologie di assassini.
Tale distinzione si riferisce alle caratteristiche comportamentali del minore manifestate prima dell’esecuzione del delitto.
Il primo tipo di omicida definito il Distaccato si distingue per la sua timidezza e riservatezza.
Si tratta del tipico “bravo ragazzo” descritto come un individuo solitario, sensibile ed intelligente.
Non manifesta nessun segno di aggressività o violenza prima di compiere il delitto che quindi viene considerato un evento imprevedibile ed inspiegabile.
Il secondo tipo di omicida definito l’Aggressivo è l’antitesi del primo.
Un tratto distintivo è un’aggressività diffusa. A questa si accompagnano impulsività, irrequietezza, irritabilità.
Sono presenti sin dall’infanzia segni premonitori del comportamento omicidiario: il soggetto appicca deliberatamente incendi, è fisicamente crudele con gli animali, -spesso ne va a caccia per le strade, procede alla mutilazione degli arti, della testa, della coda, poi, con un coltello, lo squarcia e lo brucia-.
Inoltre, spesso, è il primo ad iniziare scontri fisici.
Le principali teorie esplicative sul tema dei baby-killer sono :
- quella psichiatrica,
- quella ambientale.
La teoria psichiatrica fa risalire il comportamento omicidiario di bambini ed adolescenti a disturbi mentali sia di origine organica che psicogena.
Molti bambini, autori di omicidio, sono stati, infatti, diagnosticati portatori di malattie come psicosi, disturbo antisociale di personalità, epilessia, ritardo mentale.
Nella prospettiva psichiatrica la condotta assassina è considerata un’espressione dell’anormalità psichica del soggetto.
Il bambino è spinto all’omicidio da uno squilibrio mentale che distorce l’esame di realtà ed impedisce di prevedere e valutare realisticamente la portata e le conseguenze delle proprie azioni.
La teoria ambientale riconduce la condotta assassina degli infraquattordicenni ad un ambiente familiare disfunzionale.
I baby-killer vengono solitamente da nuclei familiari disgregati.
Essi sono figli illegittimi, non desiderati, di genitori separati, alcolizzati o squilibrati.
In molti casi si riscontra la presenza di una madre psicotica e/o di una figura paterna inadeguata, indifferente o del tutto assente.
La mancanza di un legame affettivo significativo con almeno uno dei due genitori genera rabbia e frustrazione.
Il bambino sente di non essere amato e manifesta il suo disagio con comportamenti collerici ed aggressivi che possono sfociare in una condotta assassina.
In questo caso l’azione delittuosa non è che una rivendicazione d’amore : il fanciullo incapace di comunicare a parole il suo bisogno d’affetto, non trova per esprimersi che una protesta fragorosa.
L’origine dell’atto omicida viene rintracciata non solo nel fallimento materno e nella deprivazione paterna ma anche in altre esperienze traumatiche.
I baby-killer vivono un’infanzia e un’adolescenza contraddistinta da maltrattamenti.
Per maltrattamento non si intende solo violenze fisiche ma anche sofferenza psicologica, abuso sessuale e situazioni di incuria e trascuratezza.
Essi, a causa della crudeltà degli abusi che sono costretti a subire, sviluppano fantasie sadiche e di vendetta che poi mettono in pratica in atti sempre più violenti fino ad arrivare al gesto estremo dell’omicidio.
I bambini e gli adolescenti maltrattati all’interno della propria famiglia manifestano frequentemente impulsi omicidi verso i genitori maltrattanti.
Giovanni Di Rubba