Un regalo di Natale che aiuta a riflettere sulle debolezze umane

Portare in teatro una commedia che è stata concepita per essere un film non è mai impresa semplice. Farlo quando la commedia al cinema ha avuto grande successo è quasi da pazzi. Il confronto è spesso impietoso. Cosa che è vera anche al contrario: capita spesso di vedere al cinema o in televisione film tratti da opere pensate per il teatro. L’effetto è spesso molto deludente.
Recandosi a vedere “Regalo di Natale” diciamo la verità si arriva anche un po’ prevenuti. Ma basta poco per rendersi conto che la fedeltà al testo originale non ha compromesso il buon esito della rappresentazione.
Il “Regalo di Natale” portato al Bellini da Marcello Cotugno merita gli applausi che il pubblico ha truibuto al termine della rappresentazione. Fedele al testo di Pupi Avati, ma decisamente opera treatrale. Eravamo pronti ad un paragone che avrebbe dovuto essere negativo, invece il giudizio è di tutt’altro genere. Non diciamo che sia meglio questa versione teatrale rispetto a quella cinematografica. Sono due opere uguali ma molto diverse al tempo stesso.
Merito della regia, senza dubbio, che ha saputo trasformare il tutto, al punto da far sembrare questo lavoro costruito per il teatro. Merito degli attori che sono stati tutti, indistintamente, bravi nel tenere alta la tensione, calandosi pienamente nei personaggi.
Un lavoro in cui c’è tutto. C’è una parte comica, ed una parte drammatica. L’una non cancella l’altra, anche se il contenuto è decisamente poco allegro. Quattro vecchi amici che si ritrovano dopo anni tutti insieme. E dopo i convenevoli iniziali, vengono fuori antichi e mai sopiti dissapori. Quattro amici che fingono per un attimo di tornare indietro nel tempo, di essere ancora ragazzi di belle speranze, nascondendo, in primis a loro stessi, il sostanziale fallimento della loro vita. Perché sono tutti falliti.
Stefano oberato dai debiti, e con qualche libertà di troppo a livello di bilanci e di evasione fiscale, che sta per aprirgli le porte del carcere. Lele, giornalista che ha speso la sua vita alle spalle di un capo che non si decideva a morire, e che al momento giusto è stato deluso; un Lele alla disperata ricerca di poche migliaia di euro per poter pubblicare il suo libro. Ugo anche lui in perenne difficoltà economiche. Ugo che anni prima aveva “scippato” la moglie a Franco, andando a rompere un’amicizia di anni. Franco, quello che alla fine viene fuori meglio di tutti, non per come si sia realizzato nella vita (vive nel lusso, ma grazie al suocero, non certo a se stesso), ma come figura umana, l’unica che, con tutti i suoi difetti, ha un certo spessore.
E poi c’è l’estraneo, l’avvocato Santella, in apparenza pollo da spennare, che alla fine si rileva di ben altra consistenza.
Non raccontiamo la storia per non andare a togliere la sorpresa a chi non conosce la trama avendo visto il film, e che ha deciso di andare a vedere il lavoro.
La trama presenta un colpo di scena finale, ma tutto sommato è secondaria rispetto all’introspezione dell’animo umano. I 4 amici sono 4 stereotipi molto comuni. L’illuso, Lele, che ancora crede di poter sfondare come giornalista. Lele che sta con un’attrice, ma che sa benissimo, e non dice nulla, che la sua donna lo tradisce per fare carriera. Stefano, il “il latin lover impenitente, che nella vita però conclude poco, oberato dai debiti. Ugo, l’infame, quello che “ruba” la moglie dell’amico e che poi… non diciamo nulla per non spoilerare il finale. Franco è il migliore. Anche lui pieno di problemi, che sta meglio degli altri per via di un matrimonio di convenienza, ma che dice una marea di bugie alla moglie, ed è succube del suocero.
Ma almeno Franco dimostra di avere sentimenti veri, non riesce a fingere più di tanto con Ugo, al quale non ha perdonato il passato.

Gli rinfaccia il fatto di avergli rubato la prima moglie senza averla amata neanche per un momento. Gli rinfaccia anche la morte della donna, abbandonata da tutti. Franco ne esce con dignità anche perché è l’unico a non tradire la sua natura. E’ un giocatore, e non esita a rischiare tutto in una mano di poker.
E poi c’è l’avvocato Santella. Che alla fine si capisce essere un personaggio finto, ma la cosa non cambia nulla. L’avvocato è il personaggio intorno a cui ruota la trama, ma che ha il solo compito di tenere unite le storie degli altri 4 protagonisti. E’ l’unico che dal punto di vista umano non mette e non toglie nulla alla storia. La commedia è costruita sulle storie degli altri 4 protagonisti. La storia dell’avvocato è del tutto estranea.

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