Rubrica a cura di Nicola Manna
La bicicletta è la penna che scrive sull’asfalto di Aquilonia e dell’Alta Irpinia
Quelli che vanno in bicicletta sanno che nella vita niente è mai piatto. Così, quasi d’incanto, dopo aver percorso da solo, e malinconicamente, la difficile strada che conduce da Aquilonia a Melfi e l’altra ad Andretta capita che fuori il cancello di casa sosta un ciclista in apparente attesa. Colgo l’attimo, mi fermo mi presento, sono Pier Angelo, mi risponde un simpaticone,chiedo di aggregarmi alla colorata “brigata” che da lì a qualche minuto ci raggiunge come un’onda variopinta: prima Fabio con una bici strana: spiccano le divise con i colori “sociali” di Aquilonia, indossate da Vito e Roberto. Sono giallo e celeste, sul cuore lo stemma della cittadina irpina, e la scritta CARAUNAR ( Carbonara, antico nome di Aquilonia).Si concorda un percorso suggerito da Vito grande ( direbbe il regista di Benvenuto al Sud)
C’è cartina e cartina oltre a svariati modi di guardarle e di questo le gite in bici non possono non risentirne.
Questa per esempio ha trovato da sola il suo percorso nel mondo dei sogni seguendo le indicazioni di quel piacere ineffabile che affiora fantasticando davanti a una carta geografica turistica con i tratti stradali più belli segnati in verde e i punti panoramici con l’asterisco.
Scorrazzare sulle prime colline di Calitri, vista dall’alto, è come fare i ghirigori col dito sulla pelle di una persona alla quale si vuole bene, ad ogni lieve scollinamento si perde una corazza e per ogni armatura lasciata si diventa inevitabilmente più leggeri e ci si avvicina all’essenza.
Stiamo ovviamente parlando di bellezza, di stradine grigie e strette, dell’incanto di incrociare morbidi avvallamenti verdi o rosa e di un sacco di altre cose belle che lasciamo all’immaginazione individuale.
Oggi nessuna descrizione dettagliata dei posti che andremo a vedere…
Immaginiamo così di pedalare sull’acqua o perlomeno a dividerla per aprirti il passaggio, poi devi sconfiggere draghi e briganti che ti si parano davanti, quindi devi scalare le montagne e quando sei in cima riuscire a trovare il coraggio per lanciarti nel vuoto e mentre voli hai giusto il tempo di provare un’emozione prima di atterrare dopo di che se non ti sei fatto troppo male si ricomincia.
Se vedi l’invisibile quelli che non vedono ti chiameranno visionario e allora hai voglia a cercare le parole per spiegare che i sogni sono cose da toccare, che una gita in bici è una donna per cui vale la pena di scrivere una poesia. Ecco Enrico, con il suo abbigliamento “casual”, figura possente, irpino del centro storico di Napoli, che guida il drappello lungo il ripido serpente che porta sull’ofantina, rapidamente attraversata. Si inizia, con una progressione incessante a salire. Gli alberi ti vengono incontro e ti danno frescura. Lontano appaiono le prime case di S. Andrea di Conza.
È andando in bicicletta che impari meglio i contorni di un paese, perché devi sudare sulle colline e andare giù a ruota libera nelle discese. In questo modo te le ricordi come sono veramente, ti restano impressi. E come fai a dimenticare la “cartolina” che si presenta appena fuori S. Andrea , con Cairano, il paese dei coppoloni, che si staglia arroccato, costruito sulla roccia viva e da lontano giunge, remota,la musica degli organi suonata dal vento; e il celeste del lago di Conza che si confonde, nell’orizzonte infinito, con l’azzurro del cielo incontaminato e tanti alberi, arbusti essenze: una sinfonia di odori che penetra profonda.
La bicicletta non è un assemblaggio di metallo, un insieme inerte di leve e ruote. E’ arpa. Sinfonia. Un dono della vita. Trasforma in musica storie di uomini. Anche tragedie. Questo bel tempo improvviso che ti agita il corpo, ti mette l’orizzonte negli occhi ed è subito voglia di andare.
Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà. Andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni. La bicicletta siamo ancora noi che vinciamo lo spazio e il tempo.
Cambia il paesaggio diventa brullo, con le stoppie del grano appena mietuto, che sembrano dune del deserto arabico, si riprende a salire. Intanto un altro gruppo di intrepidi e barbuti calitrani si accoda al plotone di indomiti aquilonesi. La fontana, che appare dopo la curva è un’oasi che impone la sosta e che rinfranca le forze.
Il piacere di andare in bicicletta è uno di quei piaceri di una volta che hanno il diritto di ritornare perché insostituibili. Dalla sella della bicicletta vediamo il mondo in modo un po’ diverso, lo cogliamo in un certo senso dall’alto. Muovendoci ad una velocità che ci consente di leggerlo bene, lo gustiamo nei suoi particolari e possiamo soffermarci su dettagli interessanti e suggestivi. Lasciamo Andretta e tutto di un fiato affrontiamo il “Formicoso”. La Casa Cantoniera è conquistata all’arma bianca. Ultimo strappo, andiamo, la fatica ci assale, qualcuno si attarda: I corridori ritardatari, sono anime dannate che Dante si dimenticò di cantare. Bisaccia è un sorso di grappa, bevuto tutto di un fiato. Infine il “bivio” i saluti e la promessa di rivederci al più presto. Infine il “ terzo tempo” come i rugbisti, con birra a gogò e le mani a fluttuare per ricordare l’onda appena cavalcata. La bicicletta siamo ancora noi , che vinciamo lo spazio e il tempo, è il viaggio che possiamo interrompere e mutarlo, quella poesia istintiva di una improvvisazione spensierata, mentre una forza orgogliosa ci gonfia il cuore di sentirci così liberi.